La volgarità dell’idea di lavorare per soldi, secondo Borges

Lo scrittore argentino, nato ricchissimo ma caduto in disgrazia, si ritrovò a dover lavorare per vivere: prima come traduttore, poi bibliotecario e infine insegnante. Non gli passò mai la vergogna per questo suo necessario piegamento alla realtà

Nel 1937, alla tenera età di 38 anni, Jorge Luis Borges cominciò, per la prima volta nella sua vita, a lavorare. “Era un lavoro da bibliotecario”, una posizione bassa, in un posto comunale, molto umiliante. Doveva ricatalogare i libri in un nuovo ordine che, però, nessuno dei frequentatori della biblioteca usava. Insomma, frustrazione pura.

Fino a quel momento della sua vita il giovane Borges aveva potuto scansare le fatiche del lavoro grazie ai soldi della famiglia. Un ambiente che definiva “middle class” ma che, in realtà, rappresentava proprio ciò che ogni aspirante scrittore potesse desiderare: un mare di libri, una famiglia a sostegno, viaggi e scoperte nei luoghi più colti e interessanti del mondo.

Borges, dopo gli anni europei, aveva preso l’abitudine di passare le notti nei caffè, a parlare di letteratura e poesia. In più scriveva versi e saggi, ma solo per il gusto dell’arte. Disdegnava il guadagno: il suo primo libro di poesie, stampato con i soldi del padre, veniva regalato di nascosto agli amici (nel senso che glielo nascondeva nelle tasche dei cappotti). Nel frattempo fondava riviste letterarie (ben tre) senza mai cavarci un soldo – ma almeno ne traeva altre soddisfazioni, visto che, insieme ai suoi amici, stava rinnovando la poesia e la prosa. Una era una rivista murale. Un’altra crollò nel giro di un anno. Ma il denaro importava poco. A 30 anni ricevette, per i suoi meriti letterari, un premio di 3mila pesos per scrivere ciò che gli pareva. Scelse di fare una biografia di un poeta locale mezzo sconosciuto. L’idea non piacque a nessuno e i soldi non vennero più consegnati. Pazienza: ciò che contava era altro. Lui era libero di scrivere e pensare, sciolto dalle necessità del denaro vile. Poi, però, le cose cambiarono.

Il padre si ammalò (divenne cieco), l’Argentina entrò in una profonda crisi economica e, nel giro di poco, i soldi vennero meno. Il peso del sostegno alla famiglia cadde sulle spalle del non più freschissimo Jorge Luis. Prima cercò aiuto da qualche amico, come Bioy-Casares, il cui zio possedeva una fabbrica di yogurt – scrisse un volantino pubblicitario, ora argomento di tesi di laurea – poi, col crescere delle difficoltà economiche, si dedicò a traduzioni, a recensioni di film e di spettacoli, addirittura per riviste per donne (“le devo fare per soldi”, scriverà, molti anni più tardi, imbarazzato).

Biblioteca
Poi arrivò il lavoro da bibliotecario: nove anni di infelicità palpabile. Nessuno dei suoi colleghi né degli avventori si interessava di letteratura. Tutti pensavano solo al calcio, alle corse, ai pettegolezzi. Era un ambiente così malsano che una frequentatrice della biblioteca, un giorno, fu pure violentata tra uno scaffale e l’altro. Ogni giorno Borges, tornando a casa in tram, piangeva.
Gli altri colleghi si vantavano di non lavorare mai più di un’ora al giorno, costringendo anche Borges ad adeguarsi. Lui li assecondò, ma con una presa di distanza notevole: come tutti gli altri, dopo un’ora di lavoro si allontavana dalla biblioteca. Ma a differenza degli altri, tornava subito dopo – ma solo per leggere e studiare. E scrivere. Risalgono a quell’epoca (chissà perché) le sue opere più fulminanti.

Galline
Con l’arrivo al potere di Perón le cose per Borges peggiorarono. Nel 1946, in quanto intellettuale dissidente (anche se Borges rifiuterà di ritenersi tale) sarà licenziato. Nel suo caso, però, viene scelta una punizione ben peggiore: viene “promosso” a Ispettore per il Pollame e i Conigli del Mercato Pubblico.

Insegnamento
La scelta provocò una sollevazione tra i suoi amici e colleghi scrittori (quelli della Società argentina degli scrittori, o Sade). Con una serie di petizioni, ottennero che Borges venisse trasferito e cominciasse la sua carriera di insegnante in alcuni istituti. Le materie: lingua e letteratura inglese. All’inizio Borges era spaventatissimo all’idea di parlare in pubblico. Poi gli passò. Anzi, scoprì che si divertiva molto. “A 47 anni ho scoperto un nuovo mondo. Non solo guadagno molti più soldi che in biblioteca, ma mi piace e mi giustifica di più”, scriverà. Ma si nota tra le righe che il fatto di lavorare veniva sempre vissuto come una deminutio di cui scusarsi.

Biblioteca + Insegnamento
Ormai era una celebrità. Nel 1955, dopo essere diventato presidente del Sade, viene indicato come direttore della Biblioteca Nazionale. Al tempo stesso, era finito all’Università come docente di letteratura inglese. Si concede anche dei momenti à la Muccino: “Ci ritrovavamo alla fine del corso con gli studenti migliori per rileggere i passaggi della poesia anglosassone. Degustavamo le metafore, le frasi. Una volta ci innamorammo di un verso. Ne eravamo inebriati. Scendemmo tutta via Perù gridandola a squarciagola”.

Purtroppo, come tanti sapranno, Borges finì per soffrire della stessa malattia del padre. Proprio in quegli anni la cecità di cui pativa i prodromi fin dalla gioventù avrà la meglio. Una beffa del destino: quando ebbe a disposizione tutti i libri, gli arrivò anche il buio. Ma nel frattempo si era assicurato una gloria imperitura nel mondo letterario, diritti di traduzione in tutte le lingue e una buona rendita. Aveva, soltanto scrivendo, rimesso in sesto le finanze della famiglia.

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