Libri ed elezioni: cosa leggono i candidati sindaco a Milano e Roma

Gusti variegati: c’è chi punta sul classicone come Beppe Sala o sulla qualità di nicchia, come Parisi. Giachetti alti e bassi, con Canetti ma anche Terzani. Mentre la Raggi, tra libri di inchiesta e Saint-Exupery, sembra un’aliena

Quale modo migliore per conoscere il cuore di un uomo se non guardare il libro che tiene sul comodino? È così che Amazon, vista la difficoltà di distinguere i candidati sindaci (a Milano) sulla base di curriculum e proposte politiche, ha provato a chiedere loro quali libri preferiscano. Un elenco di cinque titoli da consigliare e con cui descriversi. Si sa, i gusti letterari dicono tanto di una persona (ma non troppo: ricordiamo sempre che Dell’Utri è un grande bibliomane), e forse l’elettore indeciso potrà orientarsi così, lungo gli scaffali di una biblioteca.

MILANO
Stefano Parisi lancia un affondo fatto di ottimi titoli. Si parte con Una storia d’amore e di tenebra, autobiografia dello scrittore israeliano Amos Oz. Continua con La famiglia Karnowski di Singer, dell’Adelphi. Scelta che accontenta gli intellettuali snob, cui un occhio va sempre dato. Poi crolla subito, con L’intelligenza del denaro, di Alberto Mingardi: un manifesto liberista (e qui lascia capire le sue inclinazioni politiche) che lascia poca gioia per svagarsi in spiaggia. Va meglio con La spia inglese, di Daniel Silva e poi con Follia di Patrick McGrath. Insomma, c’è tanta Inghilterra, più un bel po’ di letteratura ebraica.

Beppe Sala, invece, se la gioca con grandi titoloni: Pastorale Americana, di Philip Roth (tanto per far capire che non si scherza), poi si concede al pop d’autore, con L’insostenibile leggerezza dell’essere, di Kundera, e alla biografia di livello, con Open, di Agassi. Un podio di rispetto. Infine, va sul sicuro con due classiconi, quelli che si leggono in vacanza alle superiori: Il Maestro e Margherita, di Bulgakov, e Il Gattopardo, di Tomasi di Lampedusa. Sperando che il messaggio di fondo, cambiare tutto per non cambiare niente, non venga applicato anche a Palazzo Marino.

ROMA
Roberto Giachetti ne approfitta per estrarre titoli da intellettuale vero, e tutti novecenteschi. Subito, con Cesare Pavese e il suo Mestiere di vivere, alza il livello della discussione. Colpisce ancora con Pessoa, Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares, e schiaccia la palla con La provincia dell’uomo, di Elias Canetti. Sembra un trionfo, ma crolla nel finale: prima Il paradiso degli orchi, di Pennac, abbassa le prospettive, fino ad arrivare a Un ultimo giro di giostra, di Tiziano Terzani e chiudere la prova con un 6,5.

Virginia Raggi risponde subito con Oriana Fallaci, rivale di Tiziano Terzani, e il suo Un uomo. Poi passa all’impescrutabile, e propone libri di inchiesta e denuncia. Prima due titoli di Chiarelettere: uno è I re di Roma, di Lirio Abbate e Marco Lillo, l’altro E io pago, di Daniele Frongia e Laura Maragnani. Poi va con Grande Raccordo Criminale, di Floriana Bulfon e Pietro Orsatti, tanto per ricordare a tutti che Mafia Capitale non era una barzelletta. Stupisce, infine, con Il piccolo principe. Già, proprio quello. Un libro che, per chiunque abbia un minimo di coscienza letteraria, è materia radioattiva, veleno puro, kryptonite, peste & piaghe. Come è possibile un passo falso simile? Chissà, forse anche la Raggi vive, come il principino, su un altro pianeta. Oppure è anche lei, come il personaggio del libro, una gran volpe.

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