Ora che i giochi delle primarie americane sono (quasi) fatti si possono fare delle previsioni. Sul fronte dei democratici ci sarà, con ogni probabilità, l’ex segretario di Stato Hillary Clinton – ma fino alla convention non si può dire in modo assoluto. Contro di lei, a sorpresa rispetto all’inizio della corsa, c’è il miliardario sopra le righe Donald Trump. Ciò che hanno detto è noto. Ciò che faranno, nel caso in cui diventassero presidenti, può essere – con molta cautela – ipotizzato. Dove porteranno l’America? Come si comporteranno con i fronti caldi (Siria, Libia)? Quale politica geo-economica attueranno? Ognuno agirà a modo suo. «Ricordiamo sempre che si parla di candidati, non di presidenti eletti. I risultati definitivi si avranno solo l’8 novembre», avverte Massimo Teodori, accademico, politologo e onorevole per i Radicali. Ma qualche ipotesi si può fare.
Cominciamo con l’ipotesi Donald Trump, quella meno probabile. Dove porterà la politica estera americana?
Lo ha detto in modo chiaro: una posizione che potremmo definire “isolazionista”. Gli Usa non impiegheranno eccessive energie all’estero, né concentreranno gli armamenti nell’area europea, Paesi verso cui c’è sempre meno interesse. Trump lo ha detto in modo esplicito: grazie alla Nato hanno potuto vivere alle spalle degli Stati Uniti, ed è ora che questo cambi.
Lo aveva accennato lo stesso Barack Obama, in un’intervista all’Atlantic, definendo Francia e Inghilterra degli “approfittatori”.
Sì, ma in quel caso era circoscritto al solo caso dell’attacco in Libia. Avevano voluto far cadere Gheddafi senza però avere un piano per il dopo. In ogni caso è un elemento che vale come dottrina internazionale, anche per Trump, ma che è condizionato da una necessità molto più pressante: le esigenze di bilancio. Gli Usa non possono più destinare la stessa somma per gli armamenti che avevano impiegato negli anni passati, dal dopoguerra a oggi. Si va verso un restringimento del suo scenario di azione militare.
Allora Trump lascia l’Europa. E i fronti caldi come Siria e Libia?
Su quelli è più difficile un disimpegno, per cui è difficile prevedere come andrà. Ma l’assetto è delineato: con Putin si è già vista una certa simpatia, per cui è ipotizzabile che le tensioni si allentinio. Per il resto, si è già visto con Obama: l’Europa in generale sarà chiamata a una maggiore responsabilità per le aree vicine. Anche l’Italia dovrà fare la sua parte, specie per il Mediterraneo. L’attuale presidente ha chiesto più volte un intervento italiano in Libia, ottenendo solo una grande resistenza.
E dal punto di vista commerciale, come sarà l’atteggiamento degli Usa con Trump presidente? Continuerà il TTIP?
Difficile. Il Ttip è un progetto che Obama vorrebbe portare a compimento prima della fine del suo mandato, cioè a ottobre. Viste le divergenze e le resistenze dei vari Paesi europei, ognuno con interessi diversi, è molto poco probabile che riesca a farcela. Dopo, è verosimile che non verrà più portato avanti. Soprattutto con Trump: la sua idea è protezionistica, quasi autarchica, per andare incontro alle necessità dei lavoratori americani.
Ipotesi due, che è quella più probabile: vincerà Hillary Clinton.
Aspetti: è ancora presto per parlare di probabilità. Tutto dipenderà da vari fattori, tra cui anche il numero delle persone che andranno a votare. C’è da notare che almeno sei elettori su dieci sono contrari sia a Trump che a Hillary Clinton: non si era mai vista una disaffezione così larga. Di fronte a questi numeri ogni scenario è possibile.
In uno scenario in cui vince la Clinton quale politica estera porterà avanti?
Lei è sempre stata fedele a una linea di azione che potremmo definire “interventismo democratico”, che vede gli Usa in prima linea nei conflitti in giro per il mondo. Lo si è visto quando era Segretario di Stato. Se resterà legata a quest’ottica, non vorrà seguire le orme dell’ultimo Obama, che ha preferito una politica basata sul dialogo e sullo scioglimento dei conflitti, come ha fatto con l’Iran, con Cuba, anche con Hiroshima. Lei, al contrario del suo predecessore, non rinuncerebbe all’idea di un’America gendarme del mondo. Ma potrebbe anche cambiare idea, da presidente.
In che senso?
Del resto, lo scenario è molto cambiato da quando era presidente suo marito e da quando lo era Bush. Non solo non c’è più il bipolarismo Usa-Urss, come è ovvio, ma nemmeno l’eventuale unipolarismo, con l’America come unico leader mondiale. Ora prevalgono le potenze locali, o regionali, come Russia, Turchia, Arabia Saudita, Cina. Un quadro più frammentato in cui ognuno ha un suo gioco, con proprie dinamiche. Obama ha preso atto di un mondo ormai multilaterale, e forse lo farà anche lei.
Però lei ha insistito molto per gli ultimi interventi Usa.
Sì, lo ha detto anche lo stesso Obama. Per la Libia, che ha poi definito un disastro, è stata decisiva la pressione di Hillary Clinton. Lo stesso stava per accadere con la Siria. Ma la svolta fatta da lui, forse, influenzerà anche lei.
Con Putin, però, le tensioni della Casa Bianca a guida Clinton resteranno alte.
Sì, ma non è verosimile un’escalation militare. Non interessa a nessuno. Agli Usa, poi, importa poco dell’Ucraina, che è un argomento di pressione soprattutto dei Paesi baltici, o della Polonia. Non certo degli Stati Uniti. Tanto più in un’epoca come questa, in cui l’Europa non è più l’avanguardia di un mondo diviso in due, come avveniva durante la Guerra Fredda. La posta sulla regione è molto cambiata. È più leggera: e un conflitto no, non è probabile.