Zitto e paga, tutte le tasse che versiamo a nostra insaputa

Dalle accise all'Iva, fino all’odiatissima Irap e alla altrettanto detestata Imu, le imposte su beni e consumi sono cresciute ad un ritmo del 30 per cento. E le accise sulla benzina ci costano, da sole, un euro al litro

È una raccomandazione da sempre dei principali organismi economici, soprattutto in occasione di crisi economiche e di situazioni di scarsa competitività ed eccessivo peso delle imposte, insomma in casi come quello italiano: privilegiare la tassazione delle cose sulla tassazione delle persone, quella dei consumi su quella del lavoro.Di fatto preferire le imposte indirette a quelle dirette. Si fa presto a dire, però. Cosa sono le imposte indirette? Sono quelle che colpiscono la ricchezza solo nel momento in cui viene consumata e trasferita, non tanto prodotta, e quindi in realtà vien pagata da chi consuma, viene trasferita dal produttore al consumatore e forma buona parte della differenza tra prezzi netti di produzione e quelli finali. E anche per questo è spesso impopolare tra i contribuenti.

In Italia, poi, questi tipi di imposta sono moltissimi, spesso sconosciuti ai più, balzelli che colpiscono solo alcune categorie produttive e si riversano sul consumatore inconsapevole. Quella principe è l’Iva, l’imposta sul valore aggiunto, che rappresenta circa il 40% di tutte le imposte indirette. Ma c’è molto di più. Cominciamo col dire che le imposte indirette, come quelle dirette, negli ultimi 20 anni sono salite, e non poco.

Non solo, la percentuale sul totale è cresciuta verso la fine degli anni ‘90, per poi mantenersi sopra il 30% fino ad oggi, solo con un calo nel 2008-2010, in occasione dello scoppio della crisi economica, che ha colpito prima di tutto l’Iva.

In particolare dal 2010 ad oggi per quattro anni su sei queste imposte sono salite più di quelle totali.

Le imposte indirette hanno sostenuto di fatto la ripresa delle entrate dopo la crisi, in particolare con l’aumento dell’Iva nel 2012 e alla fine del 2013, i cui effetti si possono apprezzare nel 2014. E però come si vede il balzo maggiore, del 28,5%, è del 1998. È l’anno dell’introduzione dell’odiatissima Irap da parte del governo Prodi, una tassa che da quel momento non è mai più uscita dal dibattito politico ed è stata coinvolta in innumerevoli campagne elettorali.

Questo ci porta alle diverse tipologie di imposta indiretta. Non solo Iva, non solo Irap, ce ne sono molte altre, ma due in particolari occupano un posto di rilievo nella classifica delle tasse più odiate: l’Imu e le accise sulla benzina. Come si vede l’Imu ha sostituito dal 2012 l’Ici, più che raddoppiandone di fatto il gettito, da 9 a quasi 23 miliardi, grazie al corposo aumento di quella sulle seconde case deciso dal governo Monti, e diventando una componente molto corposa di questo tipo di imposta.

E poi ci sono le accise, che si applicano sulla quantità, e non sul prezzo, di un prodotto, e che per questo sono immuni alle fluttuazioni di mercato garantendo un gettito allo Stato, e che però influiscono molto sul prezzo finale al consumatore. Le più famose sono certamente quelle sulla benzina. Sono quelle che fanno in modo che se anche il prezzo del petrolio crollasse a zero, ugualmente pagheremmo almeno un euro al litro la benzina. Sì perchè nel tempo si sono accavallati aumenti dell’accisa che gli italiani probabilmente hanno maledetto al momento, ma che ora neanche ricordano, e che eppure continuano a pagare. Per esempio:

  • l’aumento di 0,082€ al litro del decreto Salva Italia nel dicembre 2011

  • quello per il finanziamento della cultura nel 2011 di 0,0071€ al litro

  • l’aumento di 0,02€ al litro del 2004 per il rinnovo del contratto dei ferrotranvieri

  • quello di 0,005€ al litro del 2005 per l’acquisto di autobus ecologici

  • l’incremento del 2011 per l’emergenza migranti di 0,005€ al litro

  • permane l’amento di 0,0387€ al litro per il terremoto dell’Irpinia nel 1980

  • paghiamo ancora gli 0,0511€ al litro in più per quello del Friuli nel 1976

  • fino agli 0,000981€ al litro per la guerra d’Etiopia del 1935

Ma c’è ancora di più. L’imposta di registro, per la registrazione di atti giuridici, come quelli di locazione, o le imposte ipotecarie e catastale, nonchè l’imposta di bollo per la produzione, richiesta, e presentazione di alcuni documenti. Burocrazia pura, come si vede. Qui c’è il gettito di ognuno di questi balzelli nel 2015:

Abbiamo poi le imposte sui tabacchi, che rende più di 10 miliardi, ma il cui peso non è aumentato negli anni, quelle sull’energia e gli oneri dei sistemi delle fonti rinnovabili. Quest’ultima voce è tra quelle che hanno assunto più importanza negli ultimi anni, triplicando il gettito dal 2010. È quello che paghiamo, spesso senza saperlo, nella nostra bolletta. E poi ci sono le imposte sugli spiriti, e sulla birra, che paghiamo quando beviamo qualcosa. In particolare quelle sulla birra fanno parte delle imposte che più sono cresciute, a livello di gettito, dal 2012, quando vi è stato anche l’arrivo dell’Imu e il primo aumento Iva.

Dopo quell’anno queste grandi voci non hanno visto grossi incrementi, come invece una miriade di piccoli balzelli probabilmente poco conosciuti da molti contribuenti, ma ben noti alle ignare tasche. Per esempio l’imposta sui servizi ricettivi turistici, il cui gettito è cresciuto del 168%, le sovrimposte di confine, l’imposta di bollo, quella sui giochi, sugli archivi notarili, sul Pubblico registro automobilistico. Di seguito gli aumenti o i cali di gettito dal 2012, appunto:

Il solo elenco fa capire, con la sua numerosità di voci, la serie di imposte semi-sconosciute ai non addetti ai lavori che ricadono sulle nostre tasche. Il punto fondamentale è che se è vero che è meglio privilegiare le imposte indirette a quelle dirette, come Irpef o Ires, perchè queste ultime stentano ancora a scendere?