15 anni dopo20 luglio 2001, cronaca di un movimenticidio

Il pomeriggio del 20 luglio 2001, a Genova c'erano cinque cortei in marcia, fronteggiati da migliaia di forze dell'ordine tra militari, polizia e guardia di finanza. Poi, alle 17.27, due colpi di pistola uccisero Carlo Giuliani e ferirono a morte il movimento No Global

Il 20 luglio del 2001 a Genova fa un gran caldo. Migliaia di persone afferenti al variegato movimento No Global sono già in città da qualche giorno, altre migliaia sono in arrivo per l’inizio del G8, previsto per le 15 del pomeriggio. La città è presidiata da migliaia tra poliziotti, finanzieri e militari. Il centro, la cosiddetta “zona rossa”, è stato sigillato. Nonostante il giorno prima la folta manifestazione dei migranti — circa 50mila persone — sia avvenuta senza scontri, la tensione è altissima. Gruppi di black bloc sono segnalati in arrivo alla stazione di Brignole da diverse parti d’Europa.

Quel giorno in città si svolgono cinque cortei. Due su cinque hanno dichiarato di voler violare la zona rossa in segno di protesta. Sono le “tute bianche” guidate da Luca Casarini e il movimento Globalise Resistance. Gli altri sono, rispettivamente, quello dei lavoratori in sciopero, quello organizzato da Rete Lilliput e da Legambiente e un ultimo, organizzato dai Cobas.

Mentre il summit comincia, intorno alle prime ore del pomeriggio, alcuni Black Bloc attaccano i carabinieri intorno alla stazione di Brignole. Lanciano sassi e bottiglie molotov, poi si spostano verso Marassi, dove c’è lo stadio e il carcere, protetti da centinaia di uomini delle forze dell’ordine.

Sono circa le 16. Alla testa del corteo c’è un avanguardia di tute bianche, quelle guidate Casarini. In testa ci sono circa un paio di centinaia di persone e formano la testuggine. Sono quelli che hanno annunciato di voler intraprendere atti di disobbedienza civile e sono tutti bardati di gommapiuma e caschi per resistere alle cariche, bidoni d’acqua e limoni per i lacrimogeni. Diversi megafoni ricordano le regole d’ingaggio — divieto assoluto di avere con sé armi o corpi contundenti — e l’obiettivo, proteggere i 10mila (7mila per la Questura) della manifestazione che li segue.

Mentre in diverse zone della città gruppi sparuti di black bloc attaccano le forze dell’ordine, qualche supermercato e qualche banca, il corteo delle tute bianche sta sfilando per la Foce, praticamente l’unico quartiere pianeggiante di Genova, tra la massicciata del treno e corso Italia, il lungomare. È il posto peggiore dove scontrarsi con la polizia.

«C’erano scontri ovunque, i carabinieri incontrarono le tute bianche che scendevano dallo Stadio Carlini e attaccarono la testa del corteo in un punto dove la via era stretta, senza vie di fuga, crearono un rischio immediato».


Fabrizio Ravelli, La Repubblica

Eppure è proprio lì, in fondo a via Caffa, a pochi metri dalla linea ferroviaria che entra a Brignole, che i carabinieri lanciano la prima carica contro la testa della manifestazione, la “testuggine” delle tute bianche. Il giornalista di Repubblica Fabrizio Ravelli, inviato quel giorno a Genova, descriverà così quei momenti: «C’erano scontri ovunque, i carabinieri incontrarono le tute bianche che scendevano dallo Stadio Carlini e attaccarono la testa del corteo in un punto dove la via era stretta, senza vie di fuga, crearono un rischio immediato».

I manifestanti arretrano, di formano gruppetti che si disperdono tra le vie della Foce. I cassonetti della spazzatura vengono usati come barricate improvvisate. Alcuni vengono dati alle fiamme. Si parla anche di un blindato in fiamme. Nell’isolato formato da via Caffa, via Tolemaide e piazza Alimonda ormai è il caos. Il corteo viene incalzato, arretra, si scompatta. Sono le 17 quando la quinta compagnia CCIR “ECHO”, una delle compagnie di contenimento e intervento risolutivo costituite per fronteggiare i manifestanti più violenti, insegue un gruppo di manifestanti fino a piazza Alimonda. A supporto della carica ci sono due Defender.

Mancano pochi minuti alle 17 e 30, quando uno dei due Defender, guidato da Filippo Cavataio e con a bordo il carabiniere Mario Placanica, rimane bloccato di fronte ad un cassonetto dei rifiuti e viene attaccato da una quindicina di manifestanti armate di pietre e bastoni. Tra quei manifestanti ce n’è uno basso, magro e con il volto coperto. Si chiama Carlo Giuliani, ha 23 anni ed è di Genova. Sono circa le 17.27 quando il ragazzo raccoglie da terra un estintore e fa per lanciarlo contro il Defender.

È in quel momento che risuonano nitidi due colpi di pistola. Il ragazzo cade a terra. Il Defender arretra e lo investe. Gli passa sopra due volte. Sono momenti concitati. Due carabinieri fanno per inseguire un ragazzo, gli urlano dietro accuse pesanti «l’hai ucciso tu, con quella tua pietra!», ma la loro rincorsa dura pochi metri. Il cadavere del ragazzo è per terra, una chiazza di sangue si allarga sotto la testa, una ventina di carabinieri si schierano intorno.

Alle 17 e 47, il tenente colonnello Giovanni Truglio, che coordina le unità speciali dei carabinieri, chiama il comando centrale. Risponde il generale Desideri, che chiede insistentemente notizie precise su quel che è successo. Dopo qualche minuto di conversazione (qui trovate la registrazione per intero della conversazione) in cui Truglio non si sbilancia, il generale si spazientisce: «Il corpo», dice, «guardandolo così, cristo, si dovrebbe vedere, presenta questi colpi di arma da fuoco o no?»
«Signor Generale», risponde Truglio, «adesso è coperto da un lenzuolo, io non l’ho visto, quindi, a me non sembrava eh sinceramente, però non è che sono stato lì a fare un’ispezione cadaverica, adesso comunque è lì tutto fermo, credo che anzi sicuramente faranno intervenire»

Il generale sembra spazientito: «Un colpo d’arma da fuoco. Va bè, qui mi dicono che dalla polizia, dalla questura, il medico della questura che è in collegamento con il 118, non so, evidentemente sto medico della questura allora è venuto sul posto, perché come fa a saperlo, o è venuto il 118, non lo so…».
Truglio conferma: «il 118 c’è, certo».

Ah c’è il 118 lì?» fa il generale, «E dice che è presente un colpo di arma da fuoco sotto lo zigomo? Sotto l’occhio?»
«Può darsi»
«Come può darsi?»
«Eh, non lo so signor generale»
«Minchia», fa il generale incredulo, «non l’hai visto mai un morto, un morto ammazzato, non l’hai mai visto?»


Conversazione via radio tra i Generale Desideri e il tenente colonnello Truglio, Genova, 20 luglio 2001, 17.47

«Ah c’è il 118 lì?» fa il generale, «E dice che è presente un colpo di arma da fuoco sotto lo zigomo? Sotto l’occhio?»
«Può darsi»
«Come può darsi?»
«Eh, non lo so signor generale»
«Minchia», fa il generale incredulo, «non l’hai visto mai un morto, un morto ammazzato, non l’hai mai visto?»
«Un attimo solo che cerco di informarmi».

Nel frattempo Carlo Giuliani è morto da venti minuti. Gli scontri proseguono in tutta la città. La notizia dell’uccisione di un manifestante viene lanciata da tutte le agenzie di stampa e i telegiornali. È finita. Tutti parlano delle violenze, inizia il balletto delle responsabilità e delle analisi a caldo.

Quella sera, a Porta a Porta, mentre il vice primo ministro Gianfranco Fini ricorda a tutti che in Italia la legittima difesa è un diritto garantito, Piero Fassino, dei DS, annuncia che secondo i partito il giorno dopo non ci saranno le condizioni per manifestare e che quindi «si invitano le nostre organizzazioni che avevano previsto una partecipazioni di loro iscritti, militanti o elettori, a disdire la manifestazione e a disdire l’organizzazione».

Il giorno dopo, il 21 luglio, nonostante la presa di posizione dei DS, a sfilare per quelle stesse strade saranno in trecentomila: attivisti, anarchici, gruppi cattolici, boy scout, sindacalisti, movimenti femminili, gruppi di migranti, associazioni LGBT. Portano a Genova le istanze di una protesta variegata come è variegata la sua composizione, istanze che in poche ore sono state spazzate via dalla violenza degli scontri, dagli arresti e dalle violenze di Bolzaneto, dall’assalto alla scuola Diaz.

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