Dopo 15 anni di emergenza, accoglienza straordinaria nei ristoranti e nelle palestre, e bandi flop, il ministro dell’Interno Angelino Alfano decide di puntare sullo Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, l’unica formula di accoglienza pubblica organizzata, alla quale i comuni italiani aderiscono su base volontaria. Tant’è che solo 800 su 8mila partecipano. Perché portare i migranti sui propri territori non è un gesto apprezzato dai concittadini. Fa perdere voti e consenso. E i sindaci lo sanno.
Ora, come anticipato dalla Stampa, davanti ai prevedibili sbarchi in crescita, Viminale e Anci (Associazione nazionale comuni italiani) stanno lavorando a un nuovo piano per la gestione dei flussi. Un piano che prevede una distribuzione più equilibrata dei migranti tra i comuni italiani, con una media di due o tre stranieri ogni mille abitanti. E per incentivare i sindaci ad aprire le porte delle proprie città, su proposta di Anci è previsto anche lo sblocco del turnover negli uffici comunali, anche per ruoli non legati all’accoglienza profughi. «Significa superare i paletti che impedivano l’assunzione di nuovo personale, soprattutto per la polizia municipale, gli addetti ai servizi sociali e gli operatori per l’accoglienza», spiega Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato Anci all’immigrazione. «Nuove assunzioni che servono anche a convincere i cittadini che il profugo non ti toglie la casa né i servizi. E con maggiori agenti in giro si darebbero risposte alla cittadinanza anche sulla sicurezza urbana e il presidio del territorio».
L’Anci aveva proposto che i comuni che partecipano alla rete Sprar potessero sforare il patto di stabilità, in modo da avere risorse da investire sulla città. E ora che il patto di stabilità è stato mandato in soffitta, per convincere i sindaci ad accogliere i profughi dal Viminale hanno pensato comunque di fai fluire più soldi nelle malandate casse comunali: 50 centesimi per ogni migrante al giorno, non da aggiungere, ma da togliere ai 2,50 euro del pocket money destinato a ciascun profugo per le spese quotidiane. Quindici euro al mese per profugo, su per giù. Soldi che non dovranno essere per forza utilizzati per i progetti di accoglienza e integrazione – come prevedono i bandi Sprar, con la richiesta della rendicontazione dettagliata delle spese. Ad oggi, su 25 posti Sprar, nelle casse comunali arrivano più di 600mila euro in due anni, oltre 90mila euro da spendere in alimenti nei negozianti locali.
Ma convincere i sindaci di tutta Italia non sarà semplice. L’ultimo bando Sprar 2016/2017 per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale nei comuni italiani è stato un flop. Su diecimila posti previsti dal ministero dell’Interno, solo 4mila sono stati assegnati. Cioè meno della metà di quelli necessari. Il bando era stato pubblicato ad agosto 2015 con scadenza a metà gennaio 2016. Poi, vista la scarsità di domande e le vacanze natalizie di mezzo, la scadenza era stata prorogata fino a metà febbraio. Ma non è bastato. Eppure l’Anci, che coordina la rete Sprar, aveva girato mezza Italia per presentare il bando ai comuni. E aveva chiesto al Viminale che chi partecipava al bando Sprar dovesse essere escluso dall’accoglienza straordinaria gestita dalle prefetture. Cosa che non è avvenuta, tanto che di recente è stata inviata una lettera al ministero dell’Interno in cui si chiede di fare più attenzione. Soprattutto nei piccoli comuni, per evitare di reare tensioni. In parole povere: se si sceglie l’accoglienza organizzata e programmata, poi la prefettura non deve chiamare il comune da un giorno all’altro comunicando l’arrivo di un tot di migranti (come spesso accade).
Per incentivare i sindaci ad aprire le porte delle proprie città, è previsto lo sblocco del turnover negli uffici comunali per assumere polizia municipale, gaddetti ai servizi sociali e operatori per l’accoglienza. Nuove assunzioni che servono anche a convincere i cittadini che il profugo non ti toglie la casa né i servizi. E con maggiori agenti in giro si darebbero risposte alla cittadinanza anche sulla sicurezza urbana e il presidio del territorio
Ma finora l’opera di convincimento non è bastata. Il ragionamento che i sindaci fanno è ancora questo: se la prefettura mi obbliga a ospitare i migranti lo faccio, ma non li porto nel mio comune volontariamente. Gli ultimi dati del sistema Sprar presentati a metà luglio registrano un aumento dei comuni che aderito alla rete di accoglienza pubblica volontaria. Ma i numeri sono ancora bassi: solo 800 su 8mila comuni hanno aderito alla rete Sprar, dando assistenza a 29.761 persone su 21.613 posti disponibili. Su oltre 135mila rifugiati accolti in Italia, il 70% è ancora in mano all’accoglienza straordinaria (Cas). Strutture improvvisate dalla sera alla mattina: nei ristoranti abbandonati, nelle palestre e negli hotel. La colonna portante dell’accoglienza all’italiana resta quella straordinaria, che di fatto sopperisce alla scarsità di posti delle strutture ordinarie e in quelle degli enti locali. Pseudocentri tirati su, emergenza dopo emergenza, in convenzione con cooperative e associazioni, spesso senza troppi controlli. Un business da 35 euro al giorno per migrante (di cui 2,50 finisce nelle tasche dei profughi) nel quale è proliferato uno scandalo come Mafia Capitale. Un sistema che spesso non garantisce gli standard minimi e che porta alle proteste continue degli ospiti di queste strutture. Come quelle in corso a Reggio Calabria, dove oltre duecento minori, ospitati in un’ex facoltà universitaria chiedono vestiti puliti e condizioni di vita migliori.
La scommessa del Viminale ora è ridurre l’accoglienza straordinaria per creare un sistema di accoglienza unico organizzato attraverso lo Sprar. «L’obiettivo», dice Biffoni, «è ridurre l’impatto dell’immigrazione sui territori tramite una accoglienza programmata in collaborazione con i sindaci, che conoscono le città e i quartieri, evitando l’accoglienza straordinaria che spesso crea tensioni sociali».
Il prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, ha annunciato che presto verrà anche superata «la logica dei bandi, definendo un sistema di accesso sempre aperto rivolto ai Comuni che intendono entrare nella rete Sprar e l’accreditamento immediato e permanente di tutti i progetti attivi a oggi e in futuro con anzianità di tre anni di attivita». C’è da dire che dal Viminale in realtà già in passato avevano fatto sapere di essere disposti a elargire più fondi per convincere i comuni a partecipare alla rete Sprar. Ma i sindaci non si erano fatti convincere. Il rischio è che Alfano non ci riesca nenache questa volta. Non tutti gradiscono la presenza dei centri accoglienza i nei propri confini. E i sindaci non vogliono passare per quelli che hanno portato i migranti a casa propria. La carta vincente sarà spiegare ai cittadini che aderire allo Sprar è un modo per tutelare il territorio da situazioni di accoglienza fuori controllo. E non sarà per niente semplice.