Cara Hillary,
questo fatto che una donna (tu, nella fattispecie) possa, per la prima volta nella storia, diventare Presidente degli Stati Uniti d’America, a me piace.
E mi piace tanto più in un momento storico di macro-narrazioni agghiaccianti, dolorose nella sostanza e controverse nell’analisi. In un periodo di preti sgozzati, e infedeli bruciati, e attentati, e stragi, e sparatorie, e conflitti di civiltà, e allarme terrorismo. In un momento in cui qui in Europa non ce la passiamo benissimo e ci sentiamo vulnerabili come non ci era mai successo nella vita, vessati da minacce incontrollabili, perennemente in tensione ed esposti a rischi complessi (se non impossibili) da prevenire. Mi piace, Hillary. Mi piace perché in un momento in cui assistiamo alla rivendicazione storica di una cultura per la quale la donna non è meritevole di quella libertà e di quei diritti che sono esclusivo appannaggio maschile (la stessa libertà e gli stessi diritti che il nostro vituperato e corrotto Occidente ha invece garantito a noi), posso voltarmi dall’altra parte, geograficamente parlando, e vedere che una donna prova ad entrare alla Casa Bianca, non nelle vesti di First Lady (quindi di elegante e complice concubina) bensì in quelle di Presidente di una delle più importanti potenze mondiali. E questo, a me, dona un sospiro di sollievo.
Cara Hillary, il fatto che tu possa farlo, finalmente, adesso e per la prima volta, facendo la storia, quella storia che i nostri nipoti e bisnipoti leggeranno sui libri di scuola, è quasi un pensiero pacificante. Mi dà speranza. Mi fa sorridere. Mi fa ricordare cosa c’è di buono in questa metà di mondo di cui sono figlia. Una metà di mondo che spesso critico per le sue drammatiche colpe, ma che oggi mi rassicura ancora mostrandomi alternative possibili all’odio e alla paura.
Cara Hillary, io mi auguro che tu ci riesca e non solo perché sei democratica, non solo per la parità di retribuzione, per i congedi di maternità retribuiti, per i costi di assistenza all’infanzia di cui parli nel tuo programma. Mi auguro che tu ci riesca non solo perché le donne abbiano una rappresentanza politica quantitativa e qualitativa, perché possano affrancarsi sempre più dal sessismo, perché possano avere pari opportunità nel rispetto delle diversità di genere, che esistono e negarle sarebbe un errore strategico e sostanziale.
Cara Hillary, io mi auguro che tu ci riesca per le donne americane ma un po’ anche per tutte noialtre. Per tutte le donne che ancora non hanno il diritto di studiare, di viaggiare, di evolversi, di lavorare, di essere indipendenti; di decidere in cosa credere, chi amare, chi sposare, come, in quali tempi e a quanti anni, se procreare o se abortire, se stare con un uomo o se lasciarlo, se camminargli affianco o dietro, se parlare, se tacere; per tutte le donne che ancora non hanno il diritto di essere padrone del proprio corpo e della propria vita. Per tutte le donne che questo diritto ce l’hanno e per tutte quelle che non l’hanno avuto mai. Per tutte le donne che hanno lavorato prima di noi, per quelle che lo fanno adesso e per quelle che continueranno a farlo. Per le donne forti e ambiziose, per quelle coraggiose e volitive, per quelle che con i mezzi, le possibilità e le capacità che hanno, in qualunque angolo di questo mondo, contribuiscono a quel percorso infinito di auto-determinazione e pacificazione. Per sé e per le altre.
E, in questo ordine di idee, il resto mi appare meno rilevante.
A chi dice che il tuo insediamento sarebbe solo una questione di immagine, che in fondo anche con Obama i neri non hanno mica ottenuto il loro riscatto razziale, dico che non importa. Che era giusto ci fosse un Presidente di colore. Ed è giusto che ci sia un Presidente donna. E magari domani un Presidente gay (o lesbica). Forse è solo un simbolo, hanno ragione, ma in questa post-modernità disorganica e incattivita, un simbolo che rappresenta alcuni tra i valori fondanti della nostra civiltà, come la parità di diritti tra i generi, non può certo danneggiarci. Anzi, è un modo legittimo di ribadire la nostra identità culturale, al di là di tutte le contraddizioni di cui la nostra cultura è responsabile.
E a chi dice che sei (e resti) una lobbista, rispondo che HELLO!, stiamo parlando degli Stati Uniti, alfieri del capitalismo, del moderno imperialismo e della globalizzazione, una federazione alla guida della quale pure Gesù, se si candidasse, dovrebbe confrontarsi con le lobby. Stiamo parlando dell’Ammeriga baby, mica della remota regione rurale sovietica.
E a chi dice che stai strumentalizzando le donne per fare propaganda, rispondo che preferisco che si crei consenso attorno ai diritti della metà della popolazione americana, piuttosto che crearlo sulla xenofobia e sul razzismo.
E a chi dice che sei un’oligarca ma sei comunque migliore di Trump, rispondo che anche un babbuino sarebbe migliore di Trump. E che c’è qualcosa di più. C’è che stiamo parlando di un momento storico, una data che ricorderemo (forse) come quella in cui per la prima volta una donna si è insediata nella stanza ovale, e non per giocare con il sigaro del Presidente.
E a chi dice che sei una “vecchia della politica”, rispondo che forse dovremmo anche smetterla di pensare che nella politica valga l’anti-seniority e che avere esperienza in politica sia un demerito invece che un merito, come in tutti gli altri mestieri. Che ci ha anche un po’ stufati questa pseudo-etica dell’incontrario. Se devi farti curare, se devi farti assistere legalmente, se devi farti fare un vestito su misura, persino se devi farti la messa in piega dal parrucchiere, non vuoi che te la faccia il tirocinante di 15 anni, allenandosi sul tuo bulbo. In tutti questi casi, vuoi qualcuno che abbia esperienza, giusto? Ironicamente, invece, se devi farti governare, no, non vuoi l’esperienza, “perché la politica è una cosa sporca”, che è di base una distorsione viziata, poiché l’esperienza, da sempre, è un punto di forza, non di debolezza.
Pertanto cara Hillary, che tu sia una vecchia della politica è vero. Ma per me non è una colpa. Per me significa che hai lavorato tutta la vita per arrivare a questo punto, hai fatto la tua gavetta, hai preso le tue porte in faccia e in questo sporco lavoro che hai fatto c’è stato anche portare pubblicamente le corna, davanti al mondo intero, senza mollare quel trimone di Bill. Per carità, ciò di per sé non costituisce un onore né un onere, ma parla della tua tempra e della tua determinazione.
In questo sporco lavoro che hai fatto c’è anche non esserti arresa quando hai perso alle primarie contro Obama nel 2008. C’è che fai parte di un sistema (perché certo ne fai parte) e che stai provando a cambiarlo da dentro. C’è che non ti sei arresa. C’è che hai continuato, operosa, a giocare il tuo ruolo, anche quando è stato subalterno. C’è che di sicuro non sarai perfetta, se sarai Presidente. C’è che non manterrai tutto ciò che prometti e degli errori li farai. Come tutti. Come tutti quelli che lavorano. Come tutti quelli che si mettono in gioco. E forse il mondo non lo rivoluzionerai, ma gli farai fare un passo avanti, lo evolverai un po’, oltre il sessismo e oltre la retorica. Accogliendo il lascito di Obama, l’eredità di quel cambiamento che deve continuare, per un’America migliore, post-razziale, più paritetica, più femminile. Per un messaggio positivo, per gli Stati Uniti, e anche per noi. Perché qui le cose vanno già abbastanza demmerda. E di Trump proprio non abbiamo bisogno.
Vai Hillary. Dritta, nella storia.
Fosse anche solo per questo, se devo tifare, tifo per te.