Aridateci Berlusconi. Ecco, l’ho detto. Vista la valanga di fanfaluche dei nuovi leader post berlusconiani, della destra che viaggia ormai senza timone inseguendo un po’ Salvini un po’ Magdi Allam, è ovvia la nostalgia di tempi più ordinati. Quando, ad esempio, alla vigilia della seconda guerra irachena il Cavaliere si tenne lontano dal Vertice delle Azzorre tra Bush, Blair e Aznar, ufficialmente l’ultimo tentativo per evitare l’attacco, in realtà il summit per mettere a punto i dettagli dell’operazione Iraqi Freedom. In sei ore i tre leader decisero che non era necessario attendere una seconda risoluzione Onu, e buonanotte. La dottrina della guerra preventiva trovò la sua prima applicazione pratica, coi risultati che sappiamo.
Berlusconi resistette allora, e poi per un decennio intero, alle sirene neocon e a quelle dello scontro di civiltà. Lo fece ignorando pure il suo fidatissimo consigliere Giuliano Ferrara che quelle suggestioni aveva sposato in pieno. Cercò sempre di mantenere la barra nei limiti della ragionevolezza e del pragmatismo che con il Lodo Moro già avevano salvato l’Italia dalla prima ondata del terrorismo palestinese. Ora che il suo astro si è appannato, l’idea di cavalcare lo scontro di civiltà torna a farsi strada a destra e sembra che nessuno si accorga che è fuori tempo massimo: quell’area di pensiero è fuori gioco in America, dove la destra parla il linguaggio neo-isolazionista di Trump; sconfitta in Gran Bretagna, dove il rapporto Chilcot ha inchiodato Blair come mentitore; in declino in Francia, dove si comincia a valutare il costo della grandeur di Sarkozy prima e di Hollande poi nello scenario libico e centrafricano.
E però, ecco qui gli opinionisti del centrodestra italiano prossimo venturo alla prova della sparatoria di Monaco (poi rivelatasi il mass shooting di un diciottenne sociopatico): un inno all’armiamoci e partiamo, condito dalle più cupe minacce: saremo massacrati, ci vogliono annientare, servono reazioni inesorabili. E, sullo sfondo, la folle idea che l’Occidente possa e debba dichiarare guerra a 44 milioni di musulmani residenti in Europa, il 6 per cento della popolazione, perché “non esiste un Islam moderato”, sostenerlo è da “buonisti” e cacciarli o convincerli ad andarsene rendendogli la vita impossibile è l’unica soluzione per tornare a sentirsi sicuri.
Sullo sfondo, la folle idea che l’Occidente possa e debba dichiarare guerra a 44 milioni di musulmani residenti in Europa, il 6 per cento della popolazione, perché “non esiste un Islam moderato”
In questi messaggi c’è l’immagine di quel che potrebbe diventare il centrodestra senza Berlusconi, ed è comprensibile perchè l’anziano leader sia tentato dal puntare su un cavallo d’altra qualità come Stefano Parisi. Uno pratico pure lui, che rassicuri l’elettorato invece di nevrotizzarlo e conservi ambizioni di governo anziché di accontentarsi delle briciole che cadono dal tavolo del voto di protesta M5S. Il Cavaliere sa bene che il centrodestra non può diventare il Front National di Marine Le Pen o il Gop di Donald Trump: non ne ha il retroterra e le energie, e i voti del Quarto Stato in Italia se li è già presi Beppe Grillo. Ed è consapevole più di tutti che lo strillare alla guerra magari aumenterà gli indici di ascolto di Del Debbio o le vendite di “Libero” ma incrementa la psicosi dell’ammasso che ha impantanato il Pil italiano: nessuno spende più, nessuno investe, nessuno scommette sul futuro, come se davvero domani dovessero arrivare i carri armati e il richiamo di leva. E poi, diciamolo, ma qualcuno può giudicare credibili richiami bellici che arrivano da Formigoni o da Toti? Serve anche le phisique du role per dire certe cose.
Il centrodestra italiano, se ha un vantaggio da esibire nello spazio pubblico, è proprio la sua storica prudenza negli scenari di guerra determinati dalla volontà americana. Mentre la sinistra è inchiodata alle immagini del bombardamento di Belgrado, e di un conflitto intrapreso senza nemmeno un voto in Parlamento, Berlusconi ha sempre scelto linee più sghembe. Ed è stata una fortuna, perchè se non abbiamo avuto una nostra Nizza, una nostra Atocha, una nostra King’s Cross, forse è anche per la palese renitenza davanti alla grancassa propagandistica della Guerra Globale al Terrore che l’Occidente e la Nato battono dal 2011 con risultati che definire deludenti è poco.
Il Cavaliere sa bene che il centrodestra non può diventare il Front National di Marine Le Pen o il Gop di Donald Trump: non ne ha il retroterra e le energie, e i voti del Quarto Stato in Italia se li è già presi Beppe Grillo. Ecco perché punta su Stefano Parisi
Nessuno può sapere se questa guerra l’abbiamo combattuta a modo nostro, usando l’intelligence più che le bombe intelligenti. Alcuni (Il Foglio, l’Huffington) adombrano addirittura oblique intese logistiche, una sorta di riedizione dell’antico accordo di non-belligeranza stipulato dai Servizi dell’era andreottiana con il Fplp ed equivalenti. Sta di fatto che non siamo un Paese da Crociate: le nostre le abbiamo fatte un millennio fa, ci siamo tolti lo sfizio e siamo andati avanti. E la destra italiana questo spirito lo ha sempre interpretato, seguendo una linea che ha ben difeso l’interesse nazionale. Abbandonarsi adesso all’istinto bellicista, non contro Tizio o Caio ma contro una religione che conta un miliardo e mezzo di fedeli, e farlo proprio mentre il mondo ragiona sui catastrofici effetti delle varie operazioni “Shock and Awe”, più che una scelta politica sembra una cosa da Sturmtruppen.