Contro la spiaggia, invenzione del capitalismo moderno

Per secoli la costa e il bagnasciuga erano considerati luoghi pericolosi, inquietanti, da evitare. Poi è arrivata la Rivoluzione industriale e il suo inquinamento, il Romanticismo e la voglia di mare delle classi ricche. Il fenomeno non si è più fermato

A parte gli appassionati, tutti hanno pensato almeno una volta – un sospetto velocissimo – che, in fondo, le vacanze in spiaggia non siano un’idea poi così intelligente. Tra ustioni, creme, sabbia e disagi vari, il relax non è la prima cosa che si percepisce. Ebbene, saranno consolati dal sapere che, in effetti, si tratta di un’abitudine piuttosto recente. Come spiega questo bell’articolo dello Smithsonian, prima del XVIII secolo non esisteva nulla di simile alle vacanze al mare. Anzi: la spiaggia era considerata un luogo pericoloso, minaccioso, da evitare.

Se si vuole partire da lontano, si può ricordare che Nausicaa incontrò Odisseo, appena sopravvissuto a un naufragio, proprio su una spiaggia. Lei, di suo, non ci sarebbe nemmeno andata: non per caso Omero sottolinea che fu solo per ordine di Atena che, insieme alle amiche, la ragazza decise di andare a giocare a palla proprio in quel posto poco raccomandabile. Altrimenti i due non si sarebbero mai visti e Odisseo sarebbe morto di fame sull’isola dei Feaci (e non era il massimo, dal punto di vista narrativo).

Per i secoli successivi, la spiaggia è sempre stata un luogo di passaggio: si partiva e si tornava, niente di più. I pescatori ci lasciavano le barche. I pirati ci sistemavano i loro covi. Non c’era nulla di divertente in quella sabbia bagnata dalle onde, in quel sole accecante, in quel vento insistente. Poi, un giorno, arrivò la Rivoluzione Industriale.

Come si premura di ricordare Alain Corbin, professore emerito di storia moderna alla Sorbona di Parigi e autore del libro: The Lure of the Sea, the Discovery of the Seaside in the Western World (da cui è tratto il pezzo dello Smithsonian), “tutta l’industria del turismo balneare nasce, come idea e forma, in Inghilterra”. Le classi più ricche, preoccupate dall’inquinamento che aveva colpito, improvviso, le città e le zone circostanti, erano in cerca di luoghi meno esposti dove rilassarsi e curarsi.

Le spiagge furono una bella trovata: aria pulita, fresca, insieme a esercizio fisico e bagni. Poteva funnzionare, funzionò. In più, grazie alla nuova moda dei pittori romantici, avevano perso quell’aura di minaccia e squallore che le aveva contraddistinta nei secoli: ora le spiagge erano il punto di incontro con l’infinito, il limite estremo dell’umano, il luogo della solitudine massima e della massima grandezza. Non a caso fu in quel periodo che nacque un nuovo soggetto pittorico: il paesaggio marino.

Insomma, era l’unione tra ciò che era cool in quel momento (il Romanticismo) e le esigenze della classe più alta, che cercava cure e relax in luoghi nuovi. L’avamposto fu Brighton, che divenne poi il modello del resort marittimo per tutto il mondo, insieme a Scarborough e Margate. La moda oltrepassò la Manica, arrivò in Francia e in Italia e poi in tutto il mondo, anche nel Nord Europa. “Portò con sé il culto della salute e della socialità. Anche nei Buddenbrook, romanzo di Thomas Mann, le riunioni tra familiari e amici nel Baltico sembrano antichi come la roccia della costa. Ma è vero proprio il contrario”. Era tutto nuovo. Questa ondata trasformò il paesaggio, riconfigurando antichi borghi e addirittura facendone nascere di nuovi. E questo valeva per le classi ricche.

Con il turismo di massa, poi, le cose assunsero proporzioni immense: la spiaggia divenne un luogo di ritrovo di massa, un fenomeno di costume e di nuove identità sociali. Jane Austen, nel suo ultimo romanzo (incompleto) aveva già capito dove andava a parare la questione, e fece una satira sulle nuove mode “spiaggiaiole” delle classi ricche, che trasformavano la costa sublime in una distorsione capitalista e decretando la fine di una antica comunità di pescatori. Si chiamava Sandition, fu scritto nel 1817, ha senso ancora oggi.