Conoscete bene tutte quelle storie riguardo la voce come strumento. Tutto vero, e ci mancherebbe pure che uno scrittore provasse a smentire secoli di teoria della musica. La voce è uno strumento meraviglioso, e ci sono fior fiore di musicisti che sanno usarla da veri virtuosi. Questo, per motivi che credo non siano particolarmente difficili da intuire, non capita mai nel pop, e più in generale capita di rado nella musica leggera. Nel rock, nella black music, a volte appunto anche nel pop ci possono essere cantanti particolarmente talentuosi, con voci sorprendenti e ben educate, ma in genere la musica leggera tende a lasciare che di questo strumento si utilizzi una minima porzione, quindi il virtuosismo finisce quasi sempre per essere quello del toccare note altissime, o di correre lungo le ottave con spericolatezza, ma poco altro. Un po’ come se, nel calcio, un campione assoluto come Maradona si fosse limitato a tirare calci di punizione, senza lasciarsi andare a tutto il resto del suo repertorio. I canoni, però, prevedono questo.
Fortunatamente ci sono alcuni iconoclasti che prendono i canoni e li fanno a pezzettini, finendo per mangiarseli a colazione. Nello specifico, l’iconoclasta di cui si parla in questo articolo è Mike Patton da Eureka, California. Considerato, a ragione, una delle più belle voci del rock, Patton ha alle spalle una carriera che, in genere, richiederebbe almeno quattro o cinque vite. Solo per citare le principali realtà entro le quali ha operato, nel corso di una carriera partita a fine anni Ottanta inizio anni Novanta, senza ombra di dubbio l’era d’oro del rock, Faith No More, Mr Bungle, Fantomas, Tomahawk, Peeping Tom. Oltre a questi una serie di collaborazioni con altri giganti che mettono insieme un curriculum davvero notevole. Qualche nome? John Zorn, suo sodale di lungo corso nonché, per certi versi, suo corrispettivo col sax, Bjork, X-Cutioners, Serj Tankian dei System of a Down e tanti altri, troppi da essere menzinaoti in un solo articolo. Considerando i dieci album messi insieme coi Faith No More, band con la quale ha conquistato una fama mondiale che ha sempre provato a abbattere, ultimo dei quali il bellissimo Sol Invictus, i sette dati alle stampe, tra demo e album ufficiali, con la sua prima band, i Mr Bungle, i sei con i Fantomas, superband messa su con Buzz Osborne dei Melvins, Dave Lombardo degli Slayer e Trevor Dunn dei Mr Bungle, i quattro con i Tomahawk, altro supergruppo con dentro Duene Denison dei The Jesus Lizard, John Stanier degli Helmet e Battles e Kevin Rutmanis dei Melvins, l’album con l’insolito ensemble dei Peeping Tom e i sei album solisti, Mike Patton, quarantotto anni, un passato italiano per amore, ha collezionato una discografia degna di uno stakanovista degli studi di registrazione, il che va aggiunto a una serie ininterrotta di concerti e tourné nelle varie formazioni, più l’attività di discografico al fianco di Greg Werckman, con la Ipecac Recordins.
Considerato, a ragione, una delle più belle voci del rock, Patton ha alle spalle una carriera che, in genere, richiederebbe almeno quattro o cinque vite. Solo per citare le principali realtà entro le quali ha operato, nel corso di una carriera partita a fine anni Ottanta inizio anni Novanta, senza ombra di dubbio l’era d’oro del rock, Faith No More, Mr Bungle, Fantomas, Tomahawk, Peeping Tom.
Insomma, Mike Patton non è solo un immenso talento musicale, con una voce capace di ricreare suoni inimmaginabili ma anche di trasmettere emozioni, è anche un artista generoso e iperattivo, instancabile e onnivoro. A raccontarci la sua incredibile vita, la vita di un genio che, come tale, ha unito a gesta musicali degne di essere ricordato, tutta una serie di vezzi bizzarri e naif, è ora una biografia, Epic, genio e follia di Mike Patton a firma Giovanni Rossi e edita da Tsunami. Un libro, e non poteva che essere così, gigantesco, per mole, oltre cinquecentotrenta pagine, ma anche per contenuti, aneddoti, dichiarazioni, citazioni. Una vera enciclopedia pattoniana. Un libro che dimostra pagina dopo pagina la genialità e la follia di un artista che ha attraversato e sta attraversando la storia del rock da vero protagonista, con le luci, tante, e le ombre che ogni storia sufficientemente lunga hemingwayanamente porta con sé. Solo a seguire le vicende delle sue varie band, con gli scazzi, gli “innamoramenti” artistici, i tentativi, tutti portati più o meno a segno, di piegare le regole dello show business per fare solo e esclusivamente arte, appassiona e coinvolge.
Rossi, ottimo artigiano del genere biografico, si dilunga spesso nel descrivere atteggiamenti che messi addosso a una persona qualunque verrebbero presumibilmente catalogati come folli, ma che fanno invece di Patton l’iconoclasta di cui si è fin qui detto. Uno che ha deciso che mescolare i generi era il solo modo per fare musica rock dopo che già sembrava fosse stato già detto tutto. Uno che passa con la stessa naturalezza dal condividere il palco con Dave Lombardo come con Bjork, che reinterpreta le colonne sonore, per altro dopo aver lavorato con il maestro Morricone, come i classici della canzone italiana, un crooner, un rapper, un cantante grindcore, un pazzo scatenato che prende il successo da rockstar e lo butta nel cesso, pur di continuare a essere un uomo libero, un artista libero. Leggere le pagine scritte da Rossi invoglia a andare a ascoltare tutto quanto Patton ha fatto fin qui, sicuri che nel mentre starà facendo qualcos’altro di folle e di geniale, scrivendo ottima musica da eseguire con qualche improbabile collaboratore. Un capitolo a parte, anzi, diversi capitoli a parte, occupa la poetica dei testi di Patton, deliranti e surreali, ma capaci di raccontare l’America come solo ai grandi riesce.
Difficile stabilire se Patton sia in effetti il miglior cantante rock di tutti i tempi. Difficile quanto inutile. Di fatto è una voce incredibile e incredibile è quel che quella voce riesce a riprodurre.
Dio salvi Mike Patton, quindi, sempre che riuscirà a resistere a tutte le bestemmie che gli rivolge dal palco durante il suoi concerti.