Abolire Equitalia è diventata una grande gara nazionale. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a maggio aveva detto che Equitalia non sarebbe arrivata al 2018. Lunedì ha stretto i tempi, ha precisato che non arriverà a fine anno. Finora, ad averlo proposto negli anni erano state la Lega e il Movimento 5 stelle, ma sinora la maggioranza aveva in più occasioni politiche e parlamentari opposto un muro impenetrabile. Tanto che oggi sono proprio loro ad accusare Renzi di demagogia, cosa però che automaticamente dovrebbe inficiare le loro stesse proposte.
Il rischio della demagogia esiste eccome. Il punto infatti non è abolire Equitalia come se fosse il braccio operativo della riscossione fiscale ad autodeterminare i propri aggi sul riscosso, i trattamenti ai suoi 8mila dipendenti, le modalità di pignoramento e riscossione su ogni singolo cespite di reddito, rispetto al quale l’amministrazione tributaria emette un titolo esecutivo all’incasso di gettito.
Non è così: Equitalia agisce, su ognuno di questi singoli punti, secondo nome stabilite da governo, parlamento e amministrazione tributaria. Non ha minimamente l’autonomia operativa che l’Agenzia delle Entrate si è presa di fatto negli anni, diventando consulente primario della stessa stesura dei testi di legge tributari, e comunque titolare di un enorme potere attuativo e interpretativo delle modalità di adempimento dei doveri fiscali, attraverso le sue circolari che hanno finito per diventare fonti primarie di diritto. Con tanti saluti all’articolo 23 della Costituzione, e alla riserva di legge assoluta disposta per imporre tasse ai cittadini.
Ergo basterebbe cambiare le norme generali che disciplinano l’operatività di Equitalia, per avere un fisco meno oppressivo nella sua riscossione, cioè meno incapace di giudicare caso per caso la singola capacità di pagamento per reddito venuto meno di persone fisiche e giuridiche, rispetto al petitum imperativo dello Stato. Ma la politica è fatta così: accusa ogni giorno gli elettori di essere facili prede di demagogia e populismo, ma è la prima ad assecondare entrambe le tendenze, per tornaconto di consensi .
Basterebbe cambiare le norme generali che disciplinano l’operatività di Equitalia, per avere un fisco meno oppressivo nella sua riscossione, cioè meno incapace di giudicare caso per caso la singola capacità di pagamento per reddito venuto meno di persone fisiche e giuridiche, rispetto al petitum imperativo dello Stato. Ma la politica è fatta così
Cerchiamo allora di ricapitolare tre punti. Che cos’è Equitalia oggi. Che cosa raccoglie, e per conto di chi. E cosa può avvenire a seconda di come, abolitala per darsene il merito, sarà organizzato il soggetto che le subentra. Perché una cosa è sicura, lo Stato non può fare a meno di un apparato volto alla riscossione.
Oggi Equitalia è una società pubblica, per il 51% dell’Agenzia delle Entrate e per il 49% dell’Inps. Non c’è un precedente passato glorioso della riscossione fiscale da rimpiangere. La riforma da cui due anni dopo nacque Equitalia la vollero Berlusconi e Tremonti, nel 2005, ponendo fine a decenni in cui la riscossione per ogni singolo livello provinciale e subprovinciale era demandata dallo Stato a società di emanazione bancaria, che trattenevano aggi a doppia cifra percentuale sul raccolto. Con prassi spessissimo scandalosamente discrezionali nel mancato recupero su questa o quella classe di contribuenti, che alla banca stavano a cuore in quanto soci, clienti e prenditori. La Sicilia ha continuato a fare eccezione e ha una propria società di riscossione, e solo grazie alla recente guida di Antonio Fiumefreddo – contrastata dall’attuale giunta regionale – ha per la prima volta in questi mesi iniziato a esercitare la riscossione verso enti regionali, Comuni e politici eletti: prima e per decenni orrendamente esentati dal pagare cartelle erariali!
Equitalia la vollero Berlusconi e Tremonti, nel 2005, ponendo fine a decenni in cui la riscossione per ogni singolo livello provinciale e subprovinciale era demandata dallo Stato a società di emanazione bancaria, che trattenevano aggi a doppia cifra percentuale sul raccolto. Con prassi spessissimo scandalosamente discrezionali
Nel 2015, Equitalia ha riscosso 8,24 miliardi di euro, con un incremento dell’11,2% rispetto al 2014, migliorando per la prima volta i 7,5 miliardi dell’anno 2011, quando scoppiò l’eurocrisi e per suo effetto rientrammo in recessione. Va ricordato che Equitalia non agisce solo per conto di AgEntrate e Inps, ma anche per migliaia di enti creditori, erariali, enti locali, albi professionali, e istituti di previdenza. Il 51,6% degli 8,24 miliardi è andato ad AgEntrate, il 28,8% all’Inps, il 6,7% ai Comuni, analoga percentuali ad altri enti pubblici tra cui le Camere di Commercio, il 5% ad altri Enti erariali tra i quali al primo posto le Regioni, l’1,4% all’Inail.
Una volta abolitala, come si pensa di sostituire Equitalia? Non lo sappiamo. A seconda della soluzione scelta, può o meno mutare l’aggio riconosciutole sulle somme iscritte a ruolo, oggi sceso a circa il 6% dall’8% che era alla sua nascita, per successivi interventi di legge: una somma comunque che fa a pugni con l’articolo 107 del Trattato Ue sugli aiuti di Stato anche secondo alcune pronunce di Commissioni Tributarie provinciali, visto che in realtà Equitalia non anticipa nulla agli enti per cui agisce, né l’aggio appare giustificato davvero in base all’evoluzione dei costi operativi per pignoramenti, fermi giudiziari e via proseguendo. Inoltre, esiste il problema del contratto degli attuali quasi 8mila dipendenti di Equitalia: per evoluzione dalla vecchia delega a società creditizie, è ancor oggi è ancor oggi un contratto bancario. Comunque diverso da quello della PA.
Una volta abolitala, come si pensa di sostituire Equitalia? Non lo sappiamo. A seconda della soluzione scelta, può o meno mutare l’aggio riconosciutole sulle somme iscritte a ruolo, oggi sceso a circa il 6% dall’8% che era alla sua nascita, per successivi interventi di legge
La prima ipotesi è di incardinare la nuova Equitalia – chiamatela come volete, ma per favore non Fisco Amico o simili altre melensaggini stucchevoli – presso l’Agenzia delle Entrate. La seconda presso il Mef. La terza sotto la presidenza del Consiglio. In tutti e tre i casi, il problema dell’aggio e dei contratti può avere soluzioni diverse. Ma non agevoli. La prima ipotesi è ovviamente sostenuta da AgEntrate. La seconda e la terza da chi si batte – con ottimi argomenti, che condivido – a favore di una netta separazione tra l’attività tributaria deputata ad accertamenti e controlli, e quella invece incaricata della riscossione. Bisognerà vedere poi se resta la facoltà, oggi praticata da un numero crescente di Enti Locali, di auto organizzarsi con proprie società di riscossione in house. È la linea seguita da un numero crescente di sindaci “amici” dei contribuenti (oltre 2mila sindaci l’hanno annunciato, che è cosa diversa dall’avere messo in piedi strutture operative..), ma le risorse umane e organizzative necessarie per una riscossione efficace a fronte di bassi ratei di pagamento storici appaiono non alla portata se non di Comuni in attivo di bilancio e molto efficienti: non proprio la regole, nella scassatissima fotografia degli Enti Locali italiani, soprattutto al Sud.