Con il solito ottimismo di maniera il premier Matteo Renzi annuncia trionfalmente in un tweet che “secondo i dati Istat presentati oggi aumentano gli occupati, scendono i disoccupati. Da febbraio 2014 a oggi in Italia gli occupati sono cresciuti di 497mila unità. L’80% di questi sono contratti a tempo indeterminato. Gli effetti del Jobs Act hanno portato in due anni ad avere mezzo milione di posti di lavoro in più. Personalmente credo che si possa e si debba fare sempre di più. Ma questa riforma è un bene per l’Italia. I numeri parlano chiaro e sono più forti di qualsiasi polemica”.
La realtà è così bella come la si dipinge? Come ci tocca rilevare sempre più spesso, la verità è ben altra cosa. Il Premier – nella sua smania di semplificazione – dimentica alcuni aspetti di fondamentale rilevanza e giunge a conclusioni palesemente affrettate.
Il primo: il dato Istat diffuso è quello provvisorio. Qualche mese fa vennero resi noti dati di questo tipo ed il Ministro Poletti si affrettò a intonare peana di gioia. Dopo pochi giorni fu costretto ad una imbarazzante marcia indietro quando vennero diffusi i dati corretti. Renzi oggi commenta degli exit pools o poco più. E sappiamo quanto questo possa essere pericoloso.
il Jobs Act ha esteso oltremisura l’uso generalizzato dei voucher. Quindi Renzi ignora totalmente che con ogni probabilità siamo davanti ad una esplosione dei cosiddetti “bullshit jobs”, “lavori di m…”
Il secondo: il dato Istat – com’è noto – considera come “occupate” le persone che hanno compiuto il 15° anno di età nella settimana di rilevazione e che hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura. Renzi ovviamente semplifica e – così facendo – dimentica che il Jobs Act ha esteso oltremisura l’uso generalizzato dei voucher.
Se si tiene conto di ciò, il dato è ovviamente fuorviante. Perché non rileva la qualità ed il tipo d’impiego, ma solo le persone che hanno lavorato. Ma anche solo per un’ora! Cioè si ignora totalmente che con ogni probabilità siamo davanti ad una esplosione dei cosiddetti “bullshit jobs”, come definiti con espressione colorita da David Graeber (lavori di m…) perché non sufficienti a garantire una vita anche solo decorosa.Il terzo: queste rilevazioni devono essere necessariamente messe a confronto con i dati resi noti dal’Inps la scorsa settimana e già oggetto di analisi in questo precedente articolo. La comparazione dei dati permette di rilevare agevolmente la non veridicità dell’apodittica affermazione del Premier circa un aumento dei contratti a tempo indeterminato. Al contrario – avevamo già sottolineato la drammaticità del dato rilevato – i contratti a tempo indeterminato sono crollati fino al 22% del totale, con una diminuzione rispetto al 2015 del 78% ove messi a confronto con quelli del primo semestre 2016.
Ma c’è un ultimo aspetto che lascia davvero sorpresi quanto a superficialità di analisi. Il contratto a tempo indeterminato non ha più carattere di stabilità. Già si è scritto tanto sul punto, ma è convinzione incontrovertibile che oggi un contratto a termine fornisca spesso più garanzie di uno a tempo indeterminato. Il punto chiave è rappresentato non dalla possibilità di licenziare in presenza di un motivo lecito. Ovvero quello che tecnicamente viene definito come giusta causa e giustificato motivo soggettivo nel caso di recesso per condotte disciplinarmente rilevanti, o per giustificato motivo oggettivo, ovvero per motivi di natura economica. Valeva prima, vale oggi.
i contratti a tempo indeterminato sono crollati fino al 22% del totale, con una diminuzione rispetto al 2015 del 78% ove messi a confronto con quelli del primo semestre 2016
Quello che cambia radicalmente sono le conseguenze di un recesso privo di giustificazione, illegittimo o illecito. Salvo ipotesi marginali, il Jobs Act non ha fatto altro che ridurre in maniera draconiana l’ipotetico risarcimento spettante al lavoratore ingiustamente licenziato. In particolare – e questo è particolarmente rilevante – per le aziende con oltre 15 dipendenti. Prevedendo peraltro un indennizzo crescente nel tempo. Con la conseguenza che, in particolare nei primi anni del rapporto, l’azienda che intenda licenziare lo potrà fare con un rischio di natura economica molto, molto basso. Anche in assenza di un motivo. Il Jobs Act quindi non solo non ha creato lavoro, ma lo ha reso sempre più precario. Creando i presupposti per una società incerta e disgregata.
L’effetto non è casuale, ma assolutamente voluto. Il sacrificio dei diritti individuali è chiesto dalla globalizzazione selvaggia e della finanziarizzazione dell’economia. Non meravigliamoci però della crisi della politica e del crollo dei partiti socialisti europei. Spesso ne sono stati infatti i più decisi sostenitori.