TaccolaIl Portogallo avrà vinto gli Europei, ma ora la partita è con le agenzie di rating

Multa solo simbolica per Lisbona da parte dell’Ecofin. Ma l’economia sta rallentando, le banche sono oppresse dai crediti deteriorati e l’aumento di domanda dato dalle nuove politiche anti-austerity da solo non basta. Se le agenzie di rating declassano Lisbona, si va verso l’uscita dal Qe

C’è un Paese, nell’Eurozona, che ha un problema con l’eccessivo peso dei crediti deteriorati nella pancia delle banche. Che sta cercando di trovare un’interpretazione della direttiva sul bail-in che permetta di fare un intervento pubblico in una grande banca senza far pagare i piccoli obbligazionisti. Che ha un problema con le esportazioni dopo anni di crescita delle stesse. Che sta tirando in ballo la Brexit come causa del peggioramento dei suoi conti. Che vede rivedere al ribasso, mese dopo mese, le previsioni di crescita da parte della propria banca centrale e del Fondo monetario internazionale. Questo Paese vede crescere il Pil soprattutto per una lieve ripresa della domanda interna, dovuta a un intervento pubblico. Ma in questo Paese, segnato da una disoccupazione sopra al 10% e da una elevata emigrazione giovanile, le previsioni sulla crescita sono minate dalla discesa degli investimenti e da una produttività sul lavoro troppo bassa. Questo Paese, che ha un debito pubblico attorno al 130%, sta pagando interessi relativamente bassi per effetto della politica di acquisto di bond pubblici da parte della Banca Centrale Europea, il Quantitative Easing. Ma questo Paese, che dopo anni di austerity ha deciso di cambiare rotta e far ripartire la spesa pubblica, è a un solo gradino dal perdere lo status di “investment grade”, quel giudizio (almeno BBB) da parte delle agenzie di rating che permette di accedere, appunto, al programma di Quantitative Easing. Questo Paese, nel caso le agenzie di rating dovessero declassarlo, andrebbe davvero nei guai.

Questo Paese è il Portogallo. Ma, come avrete intuito, ognuna delle condizioni appena elencate, è perfettamente applicabile anche all’Italia. Ragione per cui quel che succede, nei rapporti tra Lisbona e Bruxelles e il giudizio che gli istituti di rating assegneranno al Paese, è di fondamentale importanza anche per noi.

Un paio di giorni dopo che l’Economist metteva in copertina la corriera italiana in bilico sull’orlo del precipizio, un altro autobus, scoperto, portava i campioni dell’Europeo di calcio per le strade di Lisbona: il re Cristiano Ronaldo, l’eroe Eder e l’improbabile corona di alloro elaborata sulla nuca di Quaresma. L’autobus del governo portoghese, però, non è meno in bilico di quello italiano

Un Paese in bilico

Un paio di giorni dopo che l’Economist metteva in copertina la corriera italiana in bilico sull’orlo del precipizio, un altro autobus, scoperto, portava i campioni dell’Europeo di calcio per le strade di Lisbona: il re Cristiano Ronaldo, l’eroe Eder e l’improbabile corona di alloro elaborata sulla nuca di Quaresma. L’autobus del governo portoghese, però, non è meno in bilico di quello italiano. La prima prova sarà all’Ecofin di oggi, martedì 12 luglio. Se le attese saranno rispettate, ci sarà una richiesta di sanzione per Madrid e Lisbona, a cui dovrà seguire una decisione da parte della Commissione entro 20 giorni. Ma si tratterà di sanzioni puramente simboliche, per aver sforato il rapporto deficit Pil nel 2014 e 2015 (per il Portogallo la quota è stata rispettivamente del 7,2% e 4,4%). Peseranno anche le previsioni per il 2016. Se Madrid aveva ottenuto nel 2015 un anno in più per ridurre il proprio deficit sotto al 3% del Pil (probabilmente ha pesato la volontà di non condizionare le elezioni politiche in Spagna), lo stesso non è stato previsto per il Portogallo. E se gli impegni di portare il rapporto deficit/Pil al 2,2% non sono considerati realistici neanche dalla Commissione (che li stima al 2,7%), Barclays in una nota dell’11 luglio ha previsto che tale rapporto sarà al 4,1 per cento. La multa sarebbbe stata pesante, fino allo 0,2 del Pil più l’esclusione dai fondi Ue e, se non arriverà, lo si dovrà agli scenari delicati del post-Brexit. E alla decisione del duo Merkel-Hollande di rimettere al centro gli Stati nazionali (rappresentati nel Consiglio) a discapito della Commissione europea.

Per il governo guidato da António Costa si tratterebbe di una vittoria, anche se, a dire il vero, rimane sul piatto un’altra teorica minaccia, la seconda parte della sanzione: la possibilità che per il 2017 non siano stanziati i fondi europei. Costa è alla guida di un governo di centrosinistra-sinistra, uscito dopo un mese e mezzo di stallo, a seguito delle elezioni dello scorso ottobre. Allora arrivò primo il partito Portogallo Avanti (Psd), guidato da Pedro Passos Coelho, premier dei governi che dal 2011 avevano accompagnato le riforme imposte dalla Troika (Bce, Commmissione Ue e Fmi). Ma non trovò i numeri in Parlamento per un nuovo esecutivo. Per quanto il presidente della Repubblica Cavaco Silva , volesse evitare a tutti i costi l’ascesa di partiti euroscettici, alla fine, a novembre, si è insediato un governo comporto da socialisti e dalla sinistra radicale. Come se in Grecia socialisti e Syriza si fossero accordati invece che contrapporsi. A pochi mesi di distanza dall’insediamento, è stato presentato un programma economico di netta rottura con l’austerity. Tra i punti in programma, già attuati, c’erano l’aumento del salario minimo (da 589 a 618 euro al mese), il ritorno dell’orario settimanale di 35 ore per i dipendenti pubblici e il ripristino di quattro festività abolite. Tra quelle annunciate ci sono revisioni al rialzo delle pensioni minime e la limitazione ai contratti precari. Il salario è stato un tema centrale nel dibattito portoghese degli ultimi anni: come ha evidenziato una recente analisi dell’Ocse, la diminuzione del salario medio, già basso rispetto alla media Ue, è stata dell’8,9% dal 2008 al 2014. Questo è stato vero soprattutto per i giovani, molti dei quali sono emigrati negli scorsi anni (anche verso le ex colonie, come il Brasile prima della crisi del 2014) o hanno accettato lavori da 500 euro (è stato coniato il termine “quinhenteuristas”).

Sono tante le analogie tra la situazione dell’economia portoghese e quella italiana. Dalla bassa produttività all’alta esposizione delle banche ai crediti deteriorati

La misura dovrebbe dare una spinta alla domanda interna, relativamente ai quali segnali positivi sono già iniziati, per la verità dall’ultimo trimestre del 2015. Proprio la contrazione dei consumi era stato uno dei tasti su cui era stata attaccata la politica di austerity della Troika. Politica su cui il giudizio è molto complesso. Il centro studi Bruegel di Bruxelles, nel fare uno studio comparato sulla Troika, poneva il Portogallo in una posizione intermedia tra Grecia (giudizio negativo) e Irlanda (positivo). Lo stesso voto dello scorso ottobre, che non ha bocciato completamente il governo uscente, è un segnale di questa ambiguità. Durante gli anni delle misure concordate con Bce, Commissione e Fmi (a fronte di un prestito da 78 miliardi di euro), il prodotto interno lordo del Paese è sceso per tre anni (-6,9% tra il 2011 e il 2013), per poi risalire a partire dal 2014 (+0,9%) e 2015 (+1,5%). Con il passare degli anni, la contrazione della domanda interna è stata compensata dalla forte crescita dell’export (+4% nel terzo trimestre 2015, +2,3% nel quarto) e degli investimenti (+2,4% nel terzo e quarto trimestre del 2015). La disoccupazione, arrivata al picco di oltre il 17,5% nel 2013, è scesa al 12,2% nel quarto trimestre del 2015. Il rapporto deficit/Pil è stato fatto scendere dal 10% nel 2010 al 4,4% del 2015. Questo abbassamento del deficit ha comportato grandi sacrifici sociali, come il precipitare dei contratti a tempo determinato e il ricordato taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici. In questo caso, più che i numeri, vale la pena dare un occhio a “The Worst Tours”, una gita turistica che è stata organizzata per le strade di Porto, segnate dal degrado e dal fallimento di tantissime attività commerciali. È ai sacrifici fatti dal Paese che fa appello il ministro dell’Ecoomia, Manuel Caldeira Cabral, in un’intervista a Politico.eu, per ribadire che una sanzione europea sarebbe stata sbagliata.

Il Portogallo ha una valutazione da parte delle agenzie di rating già sotto il livello di investment grade da parte di Fitch, Moody’s e S&P. A tenere il Paese attaccato al Quantitative Easing c’è solo la quarta sorella, la canadese DBRS. Ebbene, attualmente il suo giudizio si ferma a BBBL, il più basso possibile. La revisione è attesa a ottobre

Prospettive incerte

Il cambio di politica, per quanto porti dei benefici sulla domanda interna, arriva in un momento molto complicato per l’economia portoghese. La crisi dei Paesi emergenti, tra cui il Brasile, ha comportato un freno delle esportazioni, così come nuove preoccupazione sta dando la Brexit, dato che Portogallo e Regno Unito hanno antichi legami commerciali. Le previsioni sulla crescita sono state riviste al ribasso. La Banca del Portogallo a marzo ha ritoccato le stime per il 2016 dall’1,7 all’1,5 per cento. L’Ocse, a giugno, all’1,2 per cento, il Fondo Monetario Internazionale solo all’1 per cento e l’1,1% per il 2017 (contro l’1,7 previsto dalla Banca del Portogallo).

Pesa il rallentamento sia della domanda interna (la crescita è stata rivista per il 2016 dal 2,4 all’1,4%) sia quella esterna (dal +0,8% al +0,6%). C’è un problema di export. E poi c’è, soprattutto, un problema di banche. Il Portogallo ha una percentuale di crediti deteriorati (Npl) in relazione al totale dei crediti pari a quella delle banche italiane, 16 per cento. Poco prima dell’introduzione della normativa sul bail-in è riuscita a evitare che gli obbligazionisti del Novo Banco perdessero i loro investimenti. A differenza di quanto successe in Italia a novembre con le quattro popolari, a pagare per la risoluzione furono solo gli investitori istituzionali. Ora però c’è un problema ancora più grande, chiamato Caixa Geral, la seconda maggiore banca portoghese. Secondo il report di Barclays, la banca ha bisogno di una ricapitalizzazione da 5 miliardi di euro e l’intero comparto bancario lusitano 7,5 miliardi di euro. Non poco, in un Paese che ha il Pil pari a un decimo di quello italiano. Come l’Italia, il Portogallo sta cercando una interpretazione della direttiva sul bail-in (articolo 32) per far entrare lo Stato nei capitali delle banche senza che il primo 8% degli attivi (corrispondente alla quasi totalità degli strumenti ibridi e delle obbligazioni subordinate) sia coperto da azionisti, obbligazionisti e correntisti oltre i 100mila euro.

Chiarissimo, da parte del Fmi, è stato il richiamo, alla fine di giugno, a fare ulteriori riforme per migliorare le prospettive di crescita nel medio termine, assieme a passi addizionali per rafforzare i bilanci delle banche. «Queste misure – si legge – si hanno bisogno di essere supportate da un duraturo consolidamento fiscale per ridurre la vulnerabilità dall’alto debito pubblico e per aiutare la resilienza dell’economia agli shock».

Questa incertezza sta creando molto nervosismo tra gli investitori. Anche perché il Portogallo ha una valutazione da parte delle agenzie di rating già sotto il livello di investment grade da parte di Fitch, Moody’s e S&P. A tenere il Paese attaccato al Quantitative Easing c’è solo la quarta sorella, la canadese DBRS. Ebbene, attualmente il suo giudizio si ferma a BBBL, il più basso possibile. La revisione è attesa a ottobre. Per questo, nonostante la gioia per gli Europei di calcio e il sollievo per la probabile mancata multa dell’Ecofin, il governo di Lisbona dovrebbe ora convincere soprattutto le agenzie di rating sulla solidità delle prospettive di crescita del Paese.

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