«Il Premio Strega genera odio? Vuol dire che è ancora vivo»

Il critico (e dandy) Antonio Debenedetti: «In cinquina ci sono romanzi che nulla hanno a che fare con le classifiche di vendita». «Il fatto che scateni ancora polemiche, odi, rancori, gelosie, è un ottimo dato: significa che è vivo e che lo è anche la letteratura»

«Il Premio Strega va discusso, come tutto ciò che è vivo». Nel suo “fortilizio”, una casa fatta di libri(pile altissime anche sui divani, i tavoli, le sedie) che disordinano e intagliano lo spazio, Antonio Debenedetti, scrittore, un po’ dandy, da anni amico della domenica, ci accoglie per andare più a fondo delle polemiche, ormai prevedibili e un po’ imbalsamate, sul premio letterario più potente d’Italia. Il più odiato e il più ambito: Antonio Moresco, all’indomani della sua esclusione dalla cinquina dei finalisti, lo ha definito, su La Repubblica, un gioco truccato governato dalle medesime logiche e dai medesimi meccanismi della politica. Massimiliano Parente, su “Il Giornale”, ogni anno lo ritrae come un coacervo di dinosauri e sempiterni vampiri, responsabili della perpetrazione di una letteratura prevedibile, che assomiglia al doroteismo delle fiction Rai e che è un’assicurazione sulla vita delle case editrici più forti. I capi d’imputazione vengono ribaditi ogni anno, assieme alle note di costume e colore sulla cerimonia di premiazione (le anziane principesse romane, l’assalto al buffet, i presenzialisti, i situazionisti, la gauche caviar, Dagospia, la stucchevole diretta Rai) e alla certezza che lo Strega è non rottamabile, né perfettibile. Moravia scrisse sulla rivista Mercurio, a proposito della impermeabilità degli italiani, che il nostro è un paese pieno di cose a cui nessuno crede e che nessuno ha il coraggio di distruggere.

Il Premio Strega andrebbe distrutto?

No, andrebbe prima di tutto compreso e discusso alla luce di quello che è stato. I patrimoni non vanno distrutti né trascinati e lo Strega è un patrimonio, occupa un posto importante nella storia del costume letterario della letteratura italiana.

E cos’è stato lo Strega?

Il Premio che nacque sancendo il matrimonio tra letteratura e democrazia. L’Italia era appena uscita dalla guerra e dalla dittatura, scalpitava di entusiasmo per la ritrovata libertà, da pochi mesi si era votato per il referendum monarchia/repubblica, la Costituzione stava per essere promulgata. Gli artisti e scrittori che frequentavano il salotto Bellonci unirono per la prima volta il meccanismo del voto democratico alla scelta letteraria e lo unirono in senso fisico, attraverso le schede.

Sembra un arco compiuto: dalla nascita della Costituzione al referendum del prossimo ottobre per cambiarla. Tuttavia, la democrazia ora zoppica, ha deluso, la politica è sempre di più percepita come un affare salottiero, appunto.

I salotti romani di allora erano luoghi di grande libertà. Roma era una città pulsante: già negli anni del fascismo c’era stato il salotto di Emilio Cecchi, il grande protagonista della prosa d’arte insieme a Cardarelli (Flaiano definì Cardarelli “il poeta eternamente morente” perché era sempre malato, soffriva il freddo e indossava due cappotti anche d’estate”). Il salotto Bellonci, dal quale nacque lo Strega, insieme a quello di Alba De Cespedes, scrittrice che fondò e diresse la rivista Mercurio, sulla quale scrissero le menti migliori del giornalismo e della letteratura italiana e straniera (anche Doroty Parker, Sartre), rianimò la città e infuse linfa vitale alla sua società letteraria romana.

La stessa che oggi è accusata di immobilismo.

Allora era festosa, lieve, coraggiosa. Le feste di Alba erano bellissime. Si inventavano canzoncine c’erano delle lotterie. Mio padre (Giacomo Debenedetti, uno dei critici letterari più importanti del nostro Novecento, ndr) e Savinio fingevano di essere Proust o qualche altro simbolista francese.

Si spieghi meglio.

Savinio parlava come avrebbe parlato Proust e mio padre come avrebbe parlato Savinio.

Impegnativo!

Non per loro: erano uomini di cultura vastissima, l’agilità per scherzarci veniva loro naturale. Ma la levità era tutta merito delle donne, che allora pur non godendo di pari diritti erano assai influenti: penso a Elsa Morante, Natalia Ginzburg e prima di loro a Gianna Manzini, molto amata dalla critica e ora del tutto dimenticata. Lei, sotto pseudonimo, scriveva spesso meravigliosi articoli di moda. Erano gli anni di Irene Brin, fulgida penna di costume, che non credo votasse allo Strega ma era una donna influente. Ricordo Paola Masino, la moglie di Macchia, Elena Croce, mia madre stessa che scrisse qualche articolo sul risorgimento liberale. Tutte queste donne, che fuori non godevano degli stessi diritti degli uomini, in quei salotti erano loro pari ed ebbero il merito di trasferirvi una effervescenza e una libertà capricciosa che diedero a tutto un’aria parigina, disinibita, nuova.

Basti pensare che alla prima edizione del Premio Strega (1947) fu assegnata la vittoria a Ennio Flaiano con “Tempo di uccidere”.

Una delle più grandi voci del giornalismo democratico. Ironico, spavaldo, arrivato dalla provincia, giovane: era tutto quello che la cultura si aspettava. Incarnava i giovani costretti per anni al silenzio dal fascismo e che allora si riprendevano tutto e la grande novità del giornalismo italiano, quello nato all’ombra di Omnibus di Longanesi: l’aver portato la letteratura nei giornali.

Molto diverso dagli autori che quest’anno sono in cinquina.

Attenzione: l’anno dopo Flaiano, la novità assoluta, vinse Cardarelli, cioè la tradizione. Fu un gesto che diede prova della grande apertura e libertà del premio. E non fu l’unico: quando Alberto Moravia fu messo all’indice (lui ne era scosso: lo stesso anno misero all’indice Gide), il Premio fu assegnato al suo “I racconti” (era il 1952).

Oggi, però, si fatica a individuare cosa lo Strega difenda.

Rispetto ai libri in classifica, lo Strega mantiene senz’altro un’idea di letteratura. Vincono ancora libri che sono libri. Magari non sono quelli che i lettori forti amano di più, ma lo Strega deve fare i conti con la cultura di massa. D’altronde, proprio quest’anno, in cinquina ci sono romanzi che nulla hanno a che fare con le classifiche di vendita. Voglio aggiungere che il premio Strega Europeo è stato appena assegnato ad Annie Ernaux, per il libro “Gli Anni”, edito da un piccolo editore (Orma) che credo sia una delle opere narrative più interessanti uscite negli ultimi anni.

Mi dica un difetto del Premio.

Qualsiasi suo difetto è perfettibile: la prospettiva di migliorare lo Strega è possibile solo se non lo si lascia da solo, se si prende a commentarlo senza snobismo, se gli scrittori s’interrogano per primi su cosa significhi fare letteratura oggi. Quello che vorrei è che lo Strega non dimenticasse di essere nato da artisti, pittori, cineasti, scrittori. Si deve tener presente che, allora, i tempi erano diversi perché i numeri erano diversi: “Gli indifferenti” di Moravia uscì nel 1929 e fu un successo clamoroso, la prima edizione ebbe 1500 lettori. I lettori erano una élite: oggi quella élite non esiste o si è molto allargata.

Mi dica un limite degli scrittori.

La loro paura di rimanere soli. Si censurano prima ancora che a censurarli siano l’opinione pubblica e i giornali. Si pensa che Moravia abbia avuto un grande successo: è vero, ma lo è altrettanto il fatto che lo abbia pagato sia in vita che dopo. Oggi è un autore indebitamente trascurato, purtroppo dai giovani come lei.

Il mio ultimo acquisto è il Meridiano di Alba Decespedes, però.

Un’autrice stupenda. Che ne dice di Elsa Morante, un mito che con grande dolore vedo appannarsi?

La leggo e la discuto ancora, amandola profondamente.

Questo la autorizzerà, un giorno, a tradirla: il tradimento è un momento fondamentale della conoscenza, ma si può tradire solo ciò che si è amato. Tuttavia, nella sua generazione vedo scomparire l’idea di posterità e il culto dei maestri targati Novecento. Chi, oggi, legge ancora Brancati, Landolfi, Gadda? E pensare che la mia generazione li credeva consegnati all’immortalità.

La società letteraria romana esiste ancora?

Lo Strega si porta dietro quella da cui nacque. Il fatto che scateni ancora polemiche, odi, rancori, gelosie, è un ottimo dato: significa che è vivo e che lo è anche la letteratura.

Gli scrittori si odiano?

Sono solo rivali. Le grandi rivalità danno il clima alla letteratura, accendono le idee. A uccidere una società letteraria sono il qualunquismo, il cinismo e l’indifferenza. Insomma, l’astensionismo. La politica non spinge le masse al voto, ma ciò che viene votato allo Strega riguarda e tocca ancora un pubblico vasto: è un merito da non sottovalutare.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club