In Arabia Saudita c’è una serie tv che mette alla berlina le stranezze dell’Islam

Si chiama "Selfie", è già alla seconda stagione e fa molto discutere. Imam e sapientoni religiosi vengono presi in giro senza difficoltà. L’unica critica? Non va mai contro il potere politico

Non tutti i ramadan passano sereni. Una volta, nei Paesi del Golfo, era tradizione che i canali locali trasmettessero filmoni storici e celebrativi. Erano epiche riproposizioni cinematografiche delle gesta degli antenati: califfi ed eroi della fede. Dal 2015, però, le cose sono cambiate, perché sul canale Mbc è arrivata una serie tv di humour nero: si intitola Selfie e gioca a prendere in giro le abitudini religiose dei Sauditi. Così, tanto per scherzare.

Il protagonista (e ideatore degli episodi) è Nasser al Qasabi, attore e sceneggiatore controcorrente: prende in mano i temi più dibattuti del momento e ci scherza su, provocando reazioni furiose ma, soprattutto, un mare di risate. Nel periodo di ramadan Selfie è stata la trasmissione più guardata (ma anche più discussa) dell’intero palinsesto. Segno che, in fondo, le sue critiche colgono nel segno. E per questo è arrivata la seconda stagione, Selfie 2, ancora più corrosiva.

Nel primo episodio della nuova serie Nasser al Qasabi va a colpire il settarismo di sciiti e sunniti, giocando con il tema classicissimo del figlio scambiato. La trama è semplice: in un ospedale iracheno le mogli di due religiosi, uno sciita e uno sunnita, partoriscono il rispettivo figlio. A causa della confusione causata dalla Guerra nel Golfo, i due bambini vengono scambiati in culla: al padre sciita va il figlio sunnita, e viceversa. Dopo 20 viene scoperto l’errore. I genitori, dopo qualche titubanza, accettano di ri-scambiare i figli, riprendendosi ciascuno quello legittimo. E qui comincia la situazione comica: cresciuti in ambienti opposti, i due ragazzi sono sottoposti a una rieducazione religiosa esilarante. Lo sciita deve diventare sunnita, e il sunnita diventare sciita, generando equivoci e confusioni continue.

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Lo show è sempre stato al centro delle polemiche. Nasser al Qasabi, nel 2015, aveva ricevuto una fatwa da parte dello Stato Islamico, furioso per le continue prese in giro fatte dall’attore (in un episodio si vede un padre di famiglia che vola a Raqqa per riprendersi il figlio, irretito dagli islamisti. “Sembra Tahlyia Street”, cioè la via della moda e del fashion saudita). Nel 2016, dopo le minacce da parte dell’Isis, ha rincarato la dose: battute sul trattamento delle donne, battute sulle questioni di genere, battute sui deliri islamisti. E nel Golfo tutti hanno riso.

Quasi tutti. Se dal lato sciita ci sono stati segni di approvazione (“Le sue puntate di Selfie sono più utili di mille trattati sul settarismo”) dall’altra parte c’è qualcuno che scuote il capo. Da un lato, è accusato di filo-sciitismo. Perché non si parla mai dei sunniti uccisi dalla milizia sciita (sostenuta dall’Iran) al-Hashd? Perché si prendono in giro solo i salafiti sunniti? Nasser fa spalluce. Si è trasferito a Dubai per evitare eccessivi problemi. Ma a una critica, però, non può sfuggire. Nel mondo arabo religione e politica sono collegatissime, intrecciate. Il suo show, però – questa è l’accusa – va a colpire solo la prima. Clerici e imam, ma mai politici e ministri. Anche Nasser, insomma, tiene famiglia.

Può essere. Però già solo sollevare questo velo, non senza strascichi, condanne e richieste di esecuzioni, non può che essere considerato un atto di coraggio. E poi, se fa anche ridere, meglio ancora.

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