TaccolaLa casa è sempre più un affare di classe

Il mercato degli immobili residenziali sta ripartendo grazie alle famiglie che comprano seconde case destinate ai figli. È il “fattore C”, descritto da Nomisma. Che avverte: una famiglia su quattro è in difficoltà a pagare il mutuo. Una difficoltà che spaventa le banche

C’era una volta l’Italia in cui le case si potevano comprare, anche se non si era ricchi o figli di papà. Quel Paese sta rapidamente lasciando spazio a un’altra Italia, più classista, dove conta sempre di più il fattore “C”: che può stare per fortuna, o per cicogna. Conta, in sostanza, in che famiglia si nasce, per avere un’abitazione di proprietà. Gli immobili, quando vengono comprati, sono sempre più seconde case: non per andarci in vacanza, ma per darle ai figli. E le banche stanno dando una spinta determinante in questa polarizzazione. La preoccupazione sugli Npl le spinge ad avere atteggiamento prudenziale rispetto alle loro effettive disponibilità, nonostante i tassi bassi e una liquidità che non si era mai vista. Anche perché, se fino a ieri quello dei crediti deteriorati era un problema soprattutto relativo alle imprese, oggi crescono le famiglie che non potranno permettersi di onorare i mutui. E già oggi, se si vanno a considerare anche le pratiche archiviate dalle banche prima delle istruttorie, oltre sette domande per mutui per case su dieci sono respinte. Sono gli allarmi mandati da Nomisma, che proprio alla casa ha dedicato una parte importante dell’indagine annuale sulle famiglie.

Case per pochi

Lo studio comincia con una segmentazione delle famiglie, fondamentale per capire quello di cui si sta parlando. C’è ancora una quota rilevante di esse, il 54%, che avrebbe tutte le caratteristiche reddituali e patrimoniali (stipendi e immobili da mettere in garanzia) per avere un mutuo e più in generale per poter accedere alle compravendite immobiliari. C’è poi un decimo di famiglie italiane che è in condizioni economiche talmente critiche da non essere neanche interessato all’acquisto di immobili. E un 23% di nuclei familiari che in realtà una casa la vorrebbe, che qualche garanzia la potrebbe mettere sul piatto ma che vede sempre più spesso le porte delle banche chiudersi.

Partiamo dai primi, quelli che stanno meglio. Qualora decidessero di accomodarsi in banca, oggi come oggi, si troverebbero davanti ponti d’oro: tassi di interesse ai minimi storici (l’Euribor a tre mesi, punto di riferimento per i mutui a tassi variabili, è negativo, -0,26%) e spread spesso attorno all’1 per cento. Tuttavia, meno di una su tre, tra le famiglie in queste condizioni, manifesta interesse per compravendite o anche solo per degli interventi profondi di ristrutturazione. Il motivo? L’incertezza per il futuro. Il 2015, spiegano da Nomisma, tra il bonus Irpef da 80 euro, l’annuncio della cancellazione dell’Imu, gli sgravi sul lavoro per i neoassunti con il Jobs Act, un aumento netto di occupati e, appunto, i tassi bassi, ha portato a un aumento della domanda e degli scambi, rispetto ai minimi storici. Tanto che si è arrivati, nel primo trimestre 2016, a uno scoppiettante +20% di compravendite rispetto allo stesso periodo di un anno prima. Tuttavia, «questi fattori hanno avuto un effetto positivo solo per pochissimo tempo – spiega Marco Marcatili, analista economico di Nomisma -. Le famiglie li hanno percepiti come fattori transitori. Ne hanno approfittato per fare lavori di riqualificazione ma non per impegnarsi in progetti di lungo termine». Il risultato è quello di un raffreddamento della domanda di compravendite. Se nel 2015, sempre secondo l’indagine di Nomisma, erano 2,5 milioni i nuclei interessati ad acquistare un’abitazione (al netto della componente di investimento), nel 2016 il numero è sceso di 500mila e si è fermato a 2 milioni. Le famiglie che dichiarano di avere un interesse a comprare nei “prossimi mesi” sono scese dal 6,5% al 5 per cento.

Chi sta cercando allora casa in Italia? Chi ha più difficoltà a ottenerlo. «La propensione all’acquisto di un’abitazione nei prossimi mesi è più marcata tra i nuclei a reddito medio-basso e più vulnerabili dal punto di vista finanziario» scrive Nomisma in una nota. Rientrano in questa categoria i genitori soli con figli che hanno necessità di acquistare la casa a fronte di condizioni economiche precarie (14,6%) e giovani che hanno bisogno di supporto della famiglia di origine per l’acquisto di abitazione (13,6%).

Fattori come il bonus da 80 euro, l’annuncio dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa e gli sgravi per i nuovi assunti hanno avuto un effetto positivo solo per pochissimo tempo. Le famiglie li hanno percepiti come fattori transitori e la domanda potenziale si è contratta in un anno di mezzo milione di nuclei familiari

Porte chiuse in banca

Proprio i genitori single con figli sono quelli che si vedono sbattere le porte in faccia dalle banche (7,6% di tutti i respingimenti), assieme ai nuclei numerosi con disponibilità economiche esigue. Sono numeri enormi, quelli che il centro studi ha ricavato dall’indagine sulle famiglie. Su cento famiglie che avrebbero voluto comprare casa, 73 hanno visto le domande respinte. Il dato è molto più alto rispetto a quelli ufficiali sul tasso di respingimento (attorno al 30%) perché sono considerate anche le pratiche che non sono state portate avanti dopo una valutazione informale, senza che fosse avviata un’istruttoria. Per questo, ragionano da Nomisma, anche se l’Abi ha parlato di +97% di mutui erogati alle famiglie nel 2015, il dato va riconsiderato, perché è annacquato dalle surroghe e perché non tiene conto delle porte chiuse pre-istruttoria.

Da dove nasce la chiusura delle banche? Dai crediti deteriorati che, come noto, sono il primo assillo delle banche italiane (Mps in testa, ma in buona compagnia). Il fatto è che finora finora l’80% delle sofferenze bancarie nella pancia delle banche è stato dovuto ai crediti alle imprese, mentre le famiglie in passato hanno dato prova di una buona capacità di ripagare il mutuo. Le cose però cambiano. Anche se non c’è da parte del centro studi una previsione netta che i crediti deteriorari aumenteranno, «la nostra è una segnalazione di maggiore difficoltà delle famiglie che subiscono oggi più delle imprese l’effetto di lentezza del ciclo», spiega Marco Marcatili. In un solo anno, secondo rilevazioni del centro studi, si è passati dal 14,4% al 22,8% di famiglie che dichiarano difficoltà a far fronte al mutuo. È quasi una su quattro, con un potenziale aumento di stock di sofferenze bancarie. A mitigare le prospettive nefaste ci sono strumenti legislativi recenti, come la legge 132/2015, che permette di rinegoziare i mutui anche dopo aver ricevuto l’atto di precetto; o il fondo prevenzione usura; il Fondo Gasparrini (che permette di sospendere le rate per 18 mesi); e ancora l’accordo tra consumatori e Abi per sospendere le rate del mutuo per 12 mesi. Ma sono misure di carattere temporaneo che leniscono ma non eliminano gli scenari critici.

Su cento famiglie che avrebbero voluto comprare casa, 73 hanno visto le domande respinte. Il dato è molto più alto rispetto a quelli ufficiali sul tasso di respingimento (attorno al 30%) perché sono considerate anche le pratiche che non sono state portate avanti dopo una valutazione informale, senza che fosse avviata un’istruttoria

Il fattore C

In questo contesto, non è un caso che nel 2016 la domanda residenziale sia massicciamente rappresentata da una componente di acquisto di seconda casa per uso familiare. Seconde case, in altre parole, che non sono prese per le vacanze ma per darle ai figli. «È evidente – nota Nomisma – che questo stia avvenendo grazie al supporto che le famiglie di origine garantiscono ai figli, superando il gap che rende difficile per la gran parte dei giovani nuclei affrontare l’investimento per l’acquisto di un’abitazione». Il fenomeno è destinato a rafforzarsi. Il dato relativo alla domanda potenziale di seconde case per uso familiare nell’indagine del 2016 è salito al 48,6% rispetto al 35% del 2015. «Noi lo chiamiamo “fattore C”, che sta per cicogna – spiega Marcatili -. Il mercato è ripartito in buona parte grazie ai genitori che stanno aiutando le nuove generazioni a comprare casa. È il simbolo di un mercato che è diventato polarizzato. Per questo servono politiche di riequilibrio sociale, altrimenti si finisce per rivolgersi a parti della società sempre più ristrette». Quali sono le politiche da mettere in atto? Sul lato della domanda (cioè su politiche redistributive, quali ad esempio interventi sull’Irperf, fino al reddito di cittadinanza) Nomisma non si sbilancia. Mentre è netta la bocciatura delle politiche sul lato dell’offerta messe in atto finora. «Si è parlato molto di housing sociale, ma finora abbiamo avuto solo 20mila abitazioni con questa formula, che prevede l’intervento della Cdp – dice l’analista di Nomisma -. Si parla sempre anche di case popolari, ma il gap rispetto a Francia e Germania è di almeno 300-400mila abitazioni. Infine, il bonus per le ristrutturazioni energetiche è stato finora usato soprattutto per spese non rinviabili, come la rottura della caldaia, mentre avrebbe dovuto ridare valore alle case».

«Noi lo chiamiamo “fattore C”, che sta per cicogna. Il mercato è ripartito in buona parte grazie ai genitori che stanno aiutando le nuove generazioni a comprare casa. È il simbolo di un mercato che è diventato polarizzato. Per questo servono politiche di riequilibrio sociale, altrimenti si finisce per rivolgersi a parti della società sempre più ristrette»


Marco Mercatili, Nomisma

Le case sul groppone

Il valore delle case, appunto, non aumenta. Come certificato il 4 luglio dall’Istat, chi nel 2010 ha acquistato un’abitazione esistente ha visto il valore di questa scendere del 20% (è stata minore la discesa del nuovo). Non è poco, se si rapporta il dato alla ricchezza immobiliare degli italiani, che vale circa 4.500 miliardi di euro. Nessun problema se le case sono intese solo come un bene d’uso. Molto più problematico se quelle case bisogna venderle e si è nella parte più problematica dello scenario “polarizzato” già descritto. Nomisma apre uno scenario preoccupante soprattutto per il futuro, quando queste case passeranno dalle famiglie a figli che non si potranno permetterle di mantenerle, per l’alta tassazione o le altre spese connesse. A quel punto, quando si tratterà di vendere, si scoprirà che valgono molto meno di quanto si pensasse. «Vedremo esplodere il problema nei prossimi anni», dice Marcatili.

L’anno che verrà

Nel breve termine, comunque, è presumibile che il prezzo delle case, sceso nel primo trimestre del 2016 del 1,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, possa crescere di poco. «Nel mercato immobiliare ripartono prima le compravendite e poi i valori. È quindi probabile che l’anno prossimo i prezzi aumenteranno», spiega l’analista del centro studi bolognese. Quanto questo possa durare non è chiaro, visto il rallentamento della domanda, che dovrebbe comunque portare a una crescita limitata delle compravendite ancora nel 2017. Il messaggio, per chi ha disponibilità, finanziarie, invece è chiaro: i tassi saranno ancora bassi, i prezzi saliranno, gli incentivi alle ristrutturazioni rimarranno. Comprare ora case può tornare a essere, dopo diversi anni, un investimento.

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