I nomi sono importanti. Specie per chi ha fatto della parola la propria arma, tagliente, efficace, destinata a fare feriti, macerie, quasi mai prigionieri. Normale quindi che se ti chiami Rage Against the Machine e Public Enemy, letteralmente La rabbia contro la macchina (ma volendo anche il sistema) e Nemico Pubblico, hai già fatto la tua dichiarazione di intenti in maniera piuttosto chiara e ineludibile. Chi siano e siano stati questi signori è cosa nota. La prima, capitanata dai versi di Zack de la Rocha e dalle schitarrate di Tom Morello ha in qualche modo portato il concetto di crossover a livelli politicizzati come nessuno prima di loro, né i Living Colour né i Faith No More. Prendi del sano hard rock, dove magari sono le chitarre a fare quello che in genere fa il dj, anche se in seguito saranno proprio i dj a fare la loro comparsa in formazione, leggi alla voce Limp Bizkit, mischiano a rap con liriche impegnate e parole pesanti come pietre, ed eccoti fornita la ricetta per le canzoni di una delle ultime band rivoluzionarie nel pianeta rock. Talmente rivoluzionari da essersi sciolti dopo un decennio di infiammata e onorata carriera, praticamente tutti gli anni Novanta, perché a dire del cantante/rapper Zack de la Rocha, lo spirito di attivisti e musicisti, detto così, in questo ordine, attivisti e musicisti, era venuto meno come gruppo.
Da lì una divisione con pochissime e rarissime reunion, almeno fino a poco fa. La seconda è stata ed è tuttora una delle pietre miliari del rap e della cultura hip-hop più militante. Citare Fight the power come manifesto degli afroamericani sul piede di rivolta sembra quasi pleonastico, così come sembra superfluo sottolineare come Chuck D e Professor Griff, il Ministro della Informazione della crew cui si deve lo slogan “il rap è la CNN del ghetto”, siano due figure centrali della moderna cultura afroamericana, due voci talmente potenti e fuori dal coro da essere saltate fuori proprio recentemente, quando dopo gli omicidi a Baton Rouge e St.Paul, e la violenta reazione di Micah Johnson, reo di aver ucciso cinque poliziotti a Dallas, lui ex militare di stanza in Afghanistan e al momento affiliato alle Nuove Pantere Nere, i media si sono a lungo soffermati sulla ispirazione presunta che le parole di Griff avrebbero avuto sul killer dei poliziotti. Strano, anzi, che non abbiano tirato in ballo Ice-T e i suoi Body Count, autori in passato della hit Cop Killer, brano hardcore che proprio all’uccidere poliziotti inneggiava. E fortuna, si fa per dire, che non siano saltati fuori selfie con i Public Enemy anche di Gavin Eugene Long, ventinovenne ex marine che a Baton Rouge ha freddato altri tre poliziotti, in questa apparente guerra tra afroamericani e forze dell’ordine che sta animando gli ultimi giorni alla Casa Bianca di Barack Obama, primo presidente nero degli Stati Uniti d’America.
E proprio la campagna elettorale di colui che da questi giorni di fuoco potrebbe trarre maggior vantaggio, il magnate Donald Trump, concentrato di tutte le storture ideologiche di destra che si possano immaginare, è l’occasione per il lancio dei Prophets of Rage, che dei Rage Against the Machine e dei Public Enemy, oltre che dei Cypress Hill, sono figli legittimi. In occasione della convention repubblicana di Cleveland, infatti, in cui la candidatura di Trump è stata ulteriormente santificata, con 1725 delegati conquistati ormai ogni residuo dubbio a riguardo è stato fugato, la nuova band di rivoluzionari e attivisti in musica, ha lanciato l’omonimo singolo, nonché un tour americano che si protrarrà fino metà ottobre. E per il lancio del brano ha anche tenuto un live infuocato nella città nordamericana, come a voler sottolineare l’essere anche fisicamente in prima linea. Eccoli, i Prophets of Rage: Chuck D, voce storica dei Public Enemy, B-Real, voce dei Cypress Hill, Tom Morello, Tim Commerford e Brad Wilk, rispettivamente chitarra, basso e batteria dei Rage Against the Machine. Due voci gigantesche, quindi, fondamentali per la scena rap mondiale, per sostituire un altro gigante, Zack de la Rocha, ormai fuori dal gruppo e dai giochi. Un vero supergruppo, con una supermissione: fare controinformazione in musica, provare a far partire una rivoluzione dal basso usando strumenti invece di armi, microfoni invece di bombe.
Quindi, dopo aver fatto una prova generale su un tetto a Los Angeles, e sappiamo tutti come i concerti sui tetti siano evocativi, in compagnia degli Skid Row, proprio mentre l’artista Spencer Tunick radunava alla sua maniera cento donne nude in città per dar vita all’opera d’arte di protesta Everything She Says Means Everything, sempre rivolta contro Trump, Chuck D e soci sono partiti alla volta di Cleveland, per dirla con parole loro “per fare casino alla convention repubblicana”. Non a caso la loro discesa in città è stata chiamata ” the battle of Cleveland”. Prima del loro concerto ufficiale alla Agora Ballroom, infatti, la band si è esibita più volte in gig improvvisate in strada, prima al End Poverty Now: March for Economic Justice rally, e dopo quattro ore alla Cleveland Public Square, a pochi passi dalla Quicken Loans Arena dove il Partito Repubblicano di Donald Trump tiene la sua convention. Una vera e propria guerra culturale, quella dei Prophets of Rage, portata in strada con le metodologie delle guerriglie culturali, stage improvvisati, pronti via, mezz’ora di musica e poi si sbaracca, pronti a suonare altrove, sulla falsa riga di quelle tenute in passato da gente come Jello Biafra dei Dead Kennedys, altra voce fuori dal coro della contro cultura americana.
Dopo aver fatto una prova generale su un tetto a Los Angeles, e sappiamo tutti come i concerti sui tetti siano evocativi, in compagnia degli Skid Row, proprio mentre l’artista Spencer Tunick radunava alla sua maniera cento donne nude in città per dar vita all’opera d’arte di protesta Everything She Says Means Everything, sempre rivolta contro Trump, Chuck D e soci sono partiti alla volta di Cleveland, per dirla con parole loro “per fare casino alla convention repubblicana”.
Ecco, contro cultura. Uno pensa a uno come Donald Trump, alle sue idee aberranti, xenofobe, razziste, misogine, deliranti, idee sostenute dai suoi soldi e anche da una certa ignoranza di fondo del popolo americano, specie quello in mezzo alle due coste. Uno pensa a tutto questo e a come sarebbe necessario che qualcuno andasse contro quel gigante a lanciare sassi capaci di ammazzare il gigante Golia. Lo pensa perché legge, magari, che i quotidiani si concentrano più sulla ipotetica futura first lady Melania che avrebbe plagiato il discorso di insediamento di Michelle Obama, come se questo fosse il problema o un problema, nel 2016. Come se le sopracciglia inarcate per la disapprovazione di una gaffe fossero il massimo del dissenso consentito. Poi sente le serene del brano Prophets of Rage, sente la chitarra di Tom Morello, musicista di protesta di grande levatura, sente la sezione ritmica infuocata di Commerford e Wilk, sente le voci inconfondibili e potenti di Chuck D e B-Real, capaci davvero di far dimenticare, almeno per un po’ quella furiosa di Zack de la Rocha e capisce che una speranza c’è, che se l’attacco non può arrivare dall’alto può sempre partire dal basso, che anche se il sistema, la macchina contro cui la Rabbia si scagliava negli anni Novanta, sembra indistruttibile, una fessura per far crollare la diga esiste sempre, e da una credo può davvero venire giù un palazzo, il Palazzo.
Peccato che anche solo pensare a qualcosa del genere da noi quasi sembri fantascienza. Noi in passato abbiamo avuto i girotondi con Vecchioni e la moglie o Nanni Moretti e Lella Costa e c’era già chi gridava al miracolo, figuriamoci. Niente profeti e niente rabbia, solo tanta, troppa rassegnazione, almeno per ora.