Bisognerebbe andarci sempre piano, coi trionfalismi. Come quelli che alla fine di giugno, dopo la pubblicazione delle stime preliminari del Pil da parte dell’Istat, avevano accompagnato il dato sulla crescita dell’agricoltura nel Meridione nel 2015: +7,3 per cento, se si guarda al valore aggiunto. Il Centro-Nord, nello stesso anno cresceva dell’1,6 per cento e questo è bastato a molti commentatori per gridare alla svolta dopo anni di segno negativo. Il ministro delle politiche agricole, Maurizio Martina, al Mattino, il giorno dopo la pubblicazione dei dati esaltava la «grande capacità di alcune filiere e organizzazioni a promuoversi», e affermava che «l’agroalimentre può diventare sempre più il modello di sviluppo meridionale». L’Unità ne approfittava per polemizzare con il “catastrofismo” dello Svimez, che avrebbe ignorato «i tanti punti di forza dell’economia meridionale che sono ormai agganciati a dinamiche nazionali e internazionali e che contribuiscono a trainare lo sviluppo di larga parte del Mezzogiorno». Specificava il professore Federico Pirro, dell’Università di Bari: «Intendiamo riferirci a vaste zone di agricoltura intensiva, export oriented, capace di attivare filiere lunghe di trasformazioni agroalimentari e di servizi collegati ad esse».
Ora, non è neanche il caso di fare i pessimisti a ogni costo. Ma basta dare un’occhiata da vicino ai dati del 2015 e ai primi che escono sul 2016 per capire che di strutturale, nella crescita robusta dell’anno passato, c’è ben poco. C’è stato, piuttosto, un rimbalzo rispetto al disastro del 2014, e, successivamente, una discesa dei prezzi che sta preoccupando moltissimo gli operatori del settori.
2015, l’anno del rimbalzo
Per capire il 2015, bisogna partire dal 2014 e in particolare dall’olio, che pesa per circa un decimo sul valore della produzione agricola del Sud. I volumi erano crollati a causa della mosca olearia (e non la Xylella, i cui effetti sono concentrati nel Salento) e sono poi risaliti del 51,9% in volume (fonte: Ismea) e del 66% in valore (fonte: Nomisma). Una dinamica simile ha interessato anche gli agrumi (+15% di produzione), frutta (+22%) e ortaggi (un buon quarto dei valori, con produzione del 4 per cento). Anche il vino, che pesa per un decimo dei valori, ha visto crescere i volumi a doppia cifra. «Il 2014 era stato un annus horribilis per l’agricoltura italiana», commenta Denis Pantini, responsabile del settore agricolo del centro studi Nomisma. «La mia percezione è che non ci siano elementi strutturali e innovativi che possano giustificare la ripresa. Anche se si fa un’analisi di medio-lungo periodo, è vero che siamo ai massimi da 2005, ma la variazione negli anni è stata molto limitata». Nel 2015 il valore aggiunto dell’agricoltura nel Sud e Isole era pari a 12,9 miliardi di euro, nel 2015 è salita a 13,7, una quota tuttavia inferiore al 2004. Insomma, si gira sempre attorno alle stesse cifre, con un picco negativo che si è visto nel 2009 (11,2 miliardi).
Trend della produzione e del valore aggiunto di agricoltura, silvicoltura e pesca delle regioni del Sud Italia (.000 euro)
Per capire il 2015, bisogna partire dal 2014 e in particolare dall’olio. La produzione era crollata, a causa di un parassita ed è risalita l’anno successivo del 51,9% in volume (fonte: Ismea) e del 66% in valore. Un rimbalzo, insomma, che ha condizionato tutti i numeri del settore agricolo al Sud
Altri dati elaborati da Ismea su base Istat confermano la tendenza. Se guardiamo al Sud e al solo settore agricolo (escluse silvicoltura e pesca), il valore aggiunto era sceso del 7,7% nel 2014 rispetto al 2013, per poi risalire nel 2015 del 9,6 per cento. Valori simili per le isole. Ci sono altri motivi per cui il Meridione lo scorso anno visto un incremento maggiore nel Settentrione, spiega Fabio Del Bravo, responsabile della direzione Servizi per lo sviluppo rurale di Ismea. In primo luogo c’è stata l’effettiva capacità di alcuni produttori di vino di farsi distribuire, anche all’estero, come quelli siciliani e in particolare del catanese. Questi produttori hanno saputo cogliere il momento di crescita dei prezzi per le produzioni di qualità (Dop e Igp, che nel vino equivalgono a Doc, Docg e Igt) e smarcarsi calo che invece è contenuto per il vino sfuso. Al Sud c’è inoltre stata una minore ricaduta negativa delle contro-sanzioni russe all’agroalimentare europeo: hanno colpito soprattutto i produttori del Nord (che esportano di più), anche in modo indiretto. Le mele della Polonia, per esempio, invece di finire in Russia si sono riversate negli altri Paesi europei, compresa l’Italia con il suo distretto della Val di Non. C’è, infine, un incremento delle esportazioni, in valore (+19% dal 2010), nonostante i volumi siano di poco scesi.
Guardando ai dati tendenziali (primo trimestre 2016 contro il primo trimestre 2015), i prezzi alla produzione dell’olio sono scesi del 29%, quelli della frutta del 19%, quelli degli ortaggi e legumi del 13 per cento. Cali che stanno facendo precipitare l’indice di fiducia delle imprese
2016, prezzi in picchiata
Sin qui il 2015. Se il rimbalzo continuasse, ci sarebbe da unirsi ai giubili collettivi. Il problema è che tutti i segnali dell‘inizio del 2016 sono preoccupanti. Tutti, tranne uno, importante, che riguarda l’occupazione (ne parliamo tra un attimo). Per il resto, basta prendere il trimestrale di analisi e previsioni AgrOsserva, di Ismea e Unioncamere, per capire l’aria che tira. «La fiducia delle imprese agricole si attesta su un livello negativo agli inizi del 2016: le valutazioni moderatamente positive di fine 2015 vengono riviste in maniera peggiorativa», fino al -9% su una scala che va da +100 a -100. «Il fattore determinante dei giudizi negativi sulla situazione degli affari correnti – continua lo studio – va ravvisato principalmente nel protrarsi del calo dei prezzi dei beni agricoli. Inoltre, va segnalata la debolezza dei consumi alimentari domestici, nonché la dinamica moderata della domanda estera. Questi elementi hanno concorso a una diminuzione della redditività del settore primario, nonostante l’andamento calante dei prezzi dei mezzi correnti di produzione».
Perché questo calo di prezzi dovrebbe riguardare anche il Sud? Basta osservare i prodotti interessati: olio, frutta, grano, pomodorino a grappolo. Guardando ai dati tendenziali (primo trimestre 2016 contro il primo trimestre 2015), i prezzi alla produzione dell’olio sono scesi del 29%, quelli della frutta del 19%, quelli degli ortaggi e legumi del 13 per cento. Di un decimo sono scesi anche i prezzi dei cereali, seguendo una tendenza internazionale che risente sia dell’abbondante produzione mondiale sia del calo delle altre materie prime, a partire dal petrolio. Anche se la produzione può salire, le aziende faranno quindi fatica a far quadrare i bilanci.
Il caso del pomodorino a grappolo, quello di Pachino, fa storia a sé. «Nel 2015-2016 stiamo assistendo a una crisi del pomodorino. I dati che arrivano da ottobre sono molto negativi», dice Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti. «È per la verità una crisi che dura da tempo, alimentata da accordi sbagliati tra l’Unione europea e altri Paesi, a partire dal Marocco». I pomodori in Italia, aggiunge, arrivano, più che direttamente dal Marocco, dalla Francia. «Questi accordi si basano sul presupposto che a gennaio o febbraio non ci sono produzioni agricole in Europa, ma così si ignorano le caratteristiche produttive di ampie aree europee, dalla Sicilia alla Grecia». Pachino, va ricordato, come latitudine si trova a sud di Tunisi. La crisi del pomodorino, aggiunge Del Bravo di Ismea, nasce anche da un aumento della domanda, che ha prodotto un trascinamento verso il basso del prezzo. «Il pomodoro ciliegino di Pachino ha un nome conosciuto ma il marchio non è ancora gestito in modo evoluto e c’è una certa difficoltà a difendersi dalla concorrenza straniera». Nel primo trimestre dell’anno i prezzi all’origine del pomodoro a grappolo sono scesi del 43% rispetto a un anno prima e la dinamica negativa, aggiunge AgrOsserva, è più accentuata per il pomodoro ciliegino di Pachino, a causa di una sovrapproduzione in Sicilia e in Andalusia.
Il caso del pomodorino a grappolo, quello di Pachino, fa storia a sé. I prezzi sono crollati di oltre il 40% rispetto all’anno scorso e la produzione paga la concorrenza straniera. Anche a causa di accordi tra Ue e Paesi del Nord Africa. Pachino, va ricordato, come latitudine si trova a sud di Tunisi e i pomodori maturano molto presto
Lavoro e banche, le note positive
Ci sono quindi solo note negative, nei primi mesi dell’anno? No, perché il lavoro in agricoltura al Sud continua a crescere. Nel 2015 in tutta Italia l’occupazione tra i campi è salita più della media di tutti i settori (+3,8% contro lo 0,8%). Nel Mezzogiorno è andata molto meglio. «Mentre guardando al totale delle attività lavorative, per il Sud e le Isole l’occupazione è complessivamente diminuita rispetto al 2010, se si considera solo il settore primario si registra invece una lieve crescita (+0,4%), avvenuta soprattutto nell’ultimo anno (+ 5,5 % sul 2014)», scrive Ismea in una nota. Questo dato positivo è determinato principalmente dall’aumento della componente di lavoratori dipendenti del settore primario del Mezzogiorno, cresciuta rispetto al 2014 del 7,1% e del 3,3% rispetto al 2010. E questo incremento è spinto, come ha scritto di recente Linkiesta, dall’aumento dei giovani lavoratori under 35. Questi dati possono essere letti sia come emersione del nero, sia come aumento dei lavoratori stagionali, sia come contratti stabili. In tutti i casi, il dato è positivo.
E nel 2016? Anche in questo caso ci sono buone notizie: nei primi tre mesi in tutta Italia gli occupati crescono del 5,8% (+13% degli under 35), soprattutto per l’incremento dei dipendenti (+8,8%). Per il momento anche il settore bancario ha tenuto, con una diminuzione dei crediti alle imprese molto minore (-0,5% nel 2015, pari a 44 miliardi) nelle imprese agricole del Sud rispetto ai valori medi dell’economia italiana. Questo è avvenuto, commenta Del Bravo di Ismea, perché negli ultimi due anni c’è stato il completamento dei progetti finanziati nel settennato concluso nel 2013 dei piani di sviluppo agricolo finanziati con i fondi europei. Da quest’anno partiranno sul serio quelli del settennato 2014-2020. Sarà quello il banco di prova per il sistema bancario italiano di dimostrare di essere utile alla ripresa dell’agricoltura del Mezzogiorno.