Prima solo i militari, con la lunga scia delle purghe inizialmente approvata «da una larga fetta della società civile, compreso numerosi intellettuali di sinistra a causa delle violenze e degli abusi dell’esercito turco in Kurdistan negli anni ‘90». Poi i giornalisti curdi. Quindi, «la repressione si è allargata pian piano anche agli ambienti intellettuali e giornalistici turchi d’Istanbul ed è stato lì che il campanello di allarme è suonato». E il futuro non è per nulla roseo: oltre alla repressione ufficiale, ce ne sarà un’altra gestita dalla folla.
Ne abbiamo parlato con Etienne Coupeaux, storico, specializzato in questioni turche e ricercatore presso il laboratorio Gremmo (Groupe de recherches et d’études sur la Méditerranée et le Moyen-Orient) del CNRS e dell’Università di Lione.
La Turchia ha già conosciuto altri golpe nel passato. Qual è la differenza tra quei colpi di stato e questo tentativo fallito di golpe ?
Che sia nel ’60, nel ‘71 o nell’80, gli attori del golpe controllavano perfettamente l’esercito ed avevano preparato il putsch nei minimi particolari in maniera da controllare successivamente anche il governo. La prima differenza che salta agli occhi è che c’è stata una profonda impreparazione dei militari. Nonostante la tragicità dell’evento è quasi comico il livello d’impreparazione di un gruppo che puntava a rovesciare un governo eletto. Difficile dunque dire cosa rappresenti realmente questo gruppo, semplicemente una fazione all’interno dell’esercito, partigiani di Fethüllah Gülen, oppure agguerriti oppositori al governo dell’Akp. Questo tentativo di colpo di stato, da questo punto di vista, non assomiglia nemmeno al golpe del 1997, un colpo di stato senza violenza in cui è bastato all’esercito mostrare i muscoli affinché il governo islamista di Erbakan si dimettesse qualche mese più tardi. Si era in un periodo in cui l’esercito faceva il bello ed il cattivo tempo nel paese, sia attraverso l’impiego della violenza, sia attraverso la minaccia dell’uso della violenza come nel ’97. Anche dal punto di vista militare poi l’azione di guesto gruppo è stata catastrofica perché ha fallito nel tentativo di occupare per tempo tutti i punti strategici della nazione.
Di fronte al tentativo di golpe tutte le forze parlamentari hanno fatto sbarramento. Anche questo schieramento ha pesato nel fallimento dell’azione militare?
Certo. La società civile, i partiti, anche quelli di estrema destra, tutti si sono opposti al golpe. Sin dall’inizio del putsch il partito kemalista Chp ha sconfessato il golpe, così come i partiti di sinistra, il partito pro-curdo etc. Nessuna frangia della società civile ha sostenuto il golpe, tranne pochi difensori dei militari che si sono scontrati con i fedeli di Erdoğan per strada ma si è trattato di un appoggio molto limitato.
Chi sono i putschisti ?
Erdoğan sostiene che si tratta di una piccola fazione all’interno dell’esercito che potrebbe essere stata controllata da Fethüllah Gülen. Potrebbe essere vero o meno. Di certo visto il numero di arresti che ha seguito il golpe non mi sembra cosi’ tanto minoritaria questa fazione. Anzi mi sembra che ci fosse una corrente maggioritaria all’interno dell’esercito e ben presente in tutto il paese. Non bisogna dimenticare che Erdoğan ha colpito in passato in maniera molto dura l’esercito, soprattutto nel primo decennio del suo potere. Tra il 2002 ed il 2010 c’è stato un numero altissimo di arresti di alti quadri dell’esercito, nelle inchieste che ne sono seguite si sono trovati implicati prestigiosi generali, capi di stato maggiore che sono poi finiti in prigione. Ora la maggior parte è stata liberata. Ma è difficile non pensare già all’epoca che ci potesse essere una rivalsa di fronte a questi arresti di massa. Nell’esercito esiste un corporativismo molto potente, i militari sono solidali l’un l’altro, difendono la propria professione, i propri quadri, il proprio statuto, i generali arrestati sono stati rimpiazzati da altri e già da quegli anni – ma la mia è solo un’ipotesi – si poteva prevedere un tentativo di rivalsa da parte dell’esercito.
Come si è arrivati ad un tal punto di rottura e lacerazioni interne? Con l’Akp la Turchia aveva nondimeno trovato negli ultimi anni una certa stabilità.
Nei primi anni del suo potere Erdoğan aveva assunto una politica di apertura anche riguardo soggetti che erano tabù in Turchia : il problema curdo, la questione armena, la questione cipriota ed altri temi legati alla società civile. Il fatto poi che Erdoğan abbia cominciato a reprimere i quadri militari e l’esercito come istituzione della Repubblica turca è stato approvato da una larga fetta della società civile, compreso numerosi intellettuali di sinistra a causa delle violenze e degli abusi dell’esercito turco in Kurdistan negli anni ‘90. Questo primo periodo di potere di Erdoğan, caratterizzato dalla volontà di ridimensionare il peso dell’esercito nella vita politica della Turchia, ha ricevuto l’approvazione anche di molti ambienti intellettuali. Poi però le repressioni si sono allargate anche agli ambienti giornalistici, soprattutto curdi. La cosa non ha suscitato molto clamore perché si trattava di giornali e di giornalisti curdi, non molto letti ad Istanbul. Già a partire dal 2009-2010 sono cominciate ondate di repressione e arresti di massa, amplificatisi poi nel 2011-2012. Dai movimenti curdi, la repressione si è allargata pian piano anche agli ambienti intellettuali e giornalistici turchi d’Istanbul ed è stato lì che il campanello di allarme è suonato.
Non bisogna dimenticare che Erdoğan ha colpito in passato in maniera molto dura l’esercito, soprattutto nel primo decennio del suo potere. Tra il 2002 ed il 2010 c’è stato un numero altissimo di arresti di alti quadri dell’esercito, nelle inchieste che ne sono seguite si sono trovati implicati prestigiosi generali, capi di stato maggiore che sono poi finiti in prigione. Ora la maggior parte è stata liberata. Ma è difficile non pensare già all’epoca che ci potesse essere una rivalsa di fronte a questi arresti di massa.
Come si spiega questo cambio repentino nella sua politica interna?
Difficile spiegarlo anche se è stata una scelta precisa da parte d’Erdoğan e del suo establishment per liberarsi dagli orpelli del passato militare della Turchia. Non bisogna dimenticare che Erdogan nel 1998, negli anni in cui era sindaco d’Istanbul, ha avuto uno scontro con i militari. È stato processato, giudicato, arrestato ed è finito in prigione. All’epoca gli fu vietato di fare politica a vita. Una condanna pesantissima. Molti lo dimenticano ma questo è un dato fondamentale. Nel 1998-1999 Erdogan ha subito un’umiliazione enorme che l’ha sicuramente segnato politicamente. Era il sindaco della più grande città di Turchia, astro nascente dell’Islam politico turco ed i militari, il potere dell’epoca, hanno completamente distrutto la sua carriera. Tra il 1998 ed il 2002 Erdogan ha rapidamente recuperato le sue posizioni politiche ma il segno di quell’umiliazione è rimasto ed è venuto fuori negli anni come una sorta di rivalsa contro l’ambiente che lo aveva schiacciato nel 1998 e che prima di lui aveva deposto il suo mentore politico Erbakan, primo premier proveniente dall’Islam politico della storia turca.
C’è stato negli ultimi mesi anche un cambio non indifferente nella politica estera con un allontananento dagli Usa ed un riavvicinamento alla Russia
Indubbiamente il nodo della tensione è la richiesta di estradizione del potente imam Fethüllah Gülen, a capo di una potentissima e ricca confraternita con ramificazioni in tutto il mondo, un imam auto-esiliatosi negli Usa ed accusato da Erdoğan e dall’Akp di essere dietro al tentativo di putsch militare. Il rifiuto Usa ha provocato blocco, perquisizioni e arresti nella base aera di Incirlik, base dalla quale partono i raid della coalizione internazionale contro lo Stato Islamico. Ma bisogna guardare oltre. Questa storia di Fethüllah Gülen in realtà permette a Erdoğan e all’Akp di trovare un capro espiatorio e di affermare che il tentativo di putsch è stato spalleggiato dagli Usa, un classico della retorica nazionalista turca. Bisogna infatti guardare ad Erdoğan non soltanto come un leader « islamista » ma anche come un nazionalista. Ecco perché io uso, per definire politicamente Erdogan, il termine di « islamo-nazionalista ».
Che sviluppi puo’ avere la situazione in Turchia?
Difficile dirlo ma sono estremamente preoccupato per l’ondate di arresti di questi giorni. Esiste a mio avviso una repressione « ufficiale » alla quale stiamo assistendo in questi giorni che potrebbe anche toccare, dicono, nel prossimo futuro l’ambiente universitario e giornalistico. Ma esiste anche la repressione « della folla », della strada. In alcune città turche ci sono vere e proprie orde e gruppi d’islamisti e nazionalisti, come quelli che hanno linciato i soldati, orde che non temono nulla, che scendono per strada con intimidazioni, aggressioni fisiche. Orde che mi ricordano gli islamo-nazionalisti che invasero le strade di Sivas nel 1993 e che al grido di « a morte ! » misero fuoco all’hotel dove si rifugiarono gli aleviti uccidendo 37 persone. Non bisogna dimenticare che storicamente il nazionalismo turco ha integrato l’Islam nella definizione della nazione turca. Questa non è stata certo un’invenzione di Erdoğan. Il programma del nazionalista Ziya Gökalp, già nel 1918, era « Turchificare, islamizzare, modernizzare ». Non è stato Erdoğan ma i militari golpisti del 1980 che hanno reso obbligatorio l’isnegnamento religioso nelle scuole pubbliche, che hanno favorito la creazione di scuole private religiose e introdotto nella costituzione la nozione di « cultura nazionale » definita come una sintesi dei valori islamici e della cultura delle steppe. Sempre i militari hanno favorito l’emergenza dell’ideologia detta « sintesi turco-islamica », un nazional-islamismo che ha finito per trionfare proprio con Erdoğan».
@marco_cesario