Al momento lo stato della Louisiana, colpito da un uragano che ha provocato disastrose alluvioni, con undici morti e 40mila sfollati – il presidente Usa ha dichiarato lo stato di emergenza federale – ha ben altro cui pensare. Ma quando finirà la situazione di emergenza, sarà costretto a tornare a occuparsi di un altro problema, anche questo piuttosto grave: la sparizione della sua costa.
Da anni l’area sud-est della regione è in ritiro. Ogni 48 minuti, per l’esattezza, scompare una quantità di terreno pari a un campo da calcio. In 80 anni, sono stati mangiati dal mare 3.200 km² di terra, cancellando luoghi dalla mappa, avvicinando il Golfo del Messico a New Orleans in modo preoccupante e, infine, mettendo a rischio uno dei corridoi più importanti per l’energia del Paese.
Lungo le muraglie di terra che solcavano le wetland dell’area corre un reticolo di oleodotti, una griglia entro cui scorre il 9% della produzione di energia offshore della nazione, e il 30% della sua fornitura totale di petrolio e di gas. In più, nella zona si trova la metà di tutte le raffinerie degli Usa, un porto vitale per almeno 31 Stati, il centro dell’industria del pesce dello stato e circa due milioni di persone che dovranno cercarsi un altro posto dove vivere. Si prevede che entro il 2050 tutta l’area sarà sommersa.
Ma come è successo tutto questo? In gran parte, è colpa della cattiva gestione compiuta dall’uomo, che è intervenuto deviando le acque del Mississippi, collegando e prosciugando le paludi, scavando le fondamenta per le infrastrutture del petrolio. Le acque del mare, di conseguenza, sono penetrate in aree prima delimitate, sospinte anche dell’innalzamento generale del livello del mare. Una soluzione sarebbe di ripristinare alcune vie del flusso del Mississippi, che riporterebbero acqua dolce e soprattutto detriti del fiume a ricostituire muraglie naturale all’acqua del mare. Potrebbe bloccare l’avanzata del mare e salvare le comunità di pescatori. Il problema è che costa, e lo stato della Louisiana non ha soldi.
A pensarci, forse, dovrà toccare alle compagnie petrolifere che lavorano nella zona. Come fa notare il Wyoming Business Report, è anche nel loro interesse: la crescita del livello delle acque marine è una minaccia per le loro infrastrutture. Il danno potenziale sarebbe di 100 miliardi di dollari. “Tutti gli oleodotti, tutto ciò che è stato posizionato dagli anni ’50 agli anni ’70 è stato progettato per resistere alle acque di palude. Non a quelle, salate e più corrosive, del mare”, spiega Ted Falgout, consulente per l’energia ed ex direttore di Port Fourchon. Insomma, il problema è pressante, lo Stato crolla sottacqua. E il futuro non sembra portare niente di buono.