Comunione e normalizzazione: il Meeting non conta più, ai ciellini rimane solo Alfano

Lontani i fasti degli anni Ottanta e del "Celeste" Formigoni a Rimini va in scena la retorica della normalizzazione. E ai ciellini non resta che coprire la Madonna

Che fine hanno fatto i guizzi innovativi che caratterizzarono il popolo ciellino negli anni Ottanta? Dov’è finita la creatività un po’ corsara un po’ provocatoria che lo portava ad addentrarsi ogni fine estate, a Rimini, nei meandri di un immaginario tutto da riscoprire? Oggi è rimasto solo un solido ancoraggio: quello alle radici tutte democristiane di un movimento che soffre di deficit di protagonismo, subendo i contraccolpi delle alterne vicende che hanno coinvolto uno dei suoi animatori più noti, il Celeste, quel Roberto Formigoni finito, anche lui, sotto la mannaia della Procura di Milano. Però c’è andato il presidente Sergio Mattarella ad aprire il Meeting 2016, appuntamento che da 37 anni troneggia nell’agenda politica italiana. Personaggio che ha fatto della parola dimessa, della retorica algida e scarsamente empatica la sua caratteristica. Un presenzialismo rarefatto, che lo espone ai lazzi di un’opinionista pungente come Marco Travaglio: se parlasse al congresso di Vienna – ironizza – sarebbe la stessa cosa. E Mattarella ha inaugurato una prevedibile sfilata di dichiarazioni scontate: dal presidente di Confindustria Boccia che invoca meno austerity in Europa al vicepresidente del Csm Legnini che dice basta con la giustizia-spettacolo. E a Rimini non poteva mancare Angelino Alfano, per “magnificare” la sua prudente politica su migranti, burkini e imam esaltati. Tutto molto soft, tutto molto moderato, evitando affermazioni e negazioni assolute.

Oggi è rimasto solo un solido ancoraggio: quello alle radici tutte democristiane di un movimento che soffre di deficit di protagonismo, subendo i contraccolpi delle alterne vicende che hanno coinvolto uno dei suoi animatori più noti, il Celeste Roberto Formigoni finito sotto la mannaia della Procura di Milano

Per gli eredi di don Giussani, incapaci di riposizionarsi, questa linea del ragionamento opposto allo schieramento, anche a costo di apparire cerchiobottisti, è la più congeniale. Oggi, ha annotato Dario Di Vico sul Corriere, «Rimini 2016 sancisce la nascita di una Cl tutt’altro che sovraesposta, meno portata all’ostentazione e che, soprattutto, per supportare le sue ragioni non ha bisogno di trovare a tutti i costi un avversari». Oggi, paradossalmente, quella cornice che ha visto la discesa in campo di un battagliero Giovanni Paolo II che invitava i militanti di Cl a contrastare la società scristianizzata, è teatro di una surreale polemica sulla statua della Madonna coperta con un telo (gli organizzatori però sottolineano che loro non c’entrano nulla). I tempi impongono scelte di campo. Bisogna schierarsi: o di qua o di là, o scimmiottare i neo-crociati o sposare l’invito all’integrazione di papa Francesco. Ma è difficile, per un Meeting che è intitolato all’amicizia tra i popoli, optare nettamente per una posizione. Niente anatemi, niente scontro di civiltà: i ciellini optano per una mostra sui cristiani perseguitati e uccisi, aperta da una frase di papa Francesco: «Il sangue versato dai martiri è come rugiada che feconda». Ancora più difficile cavalcare l’islamofobia per chi ha avuto come punto di riferimento il teologo von Balthasar (ospite della convention ciellina nel 1984) che disquisiva sulla possibilità, o meglio sulla speranza, che l’inferno fosse vuoto. Ed ecco che il ruolo dell’evento si opacizza, si “normalizza”, sconfina dell’autoreferenzialità e finisce col perdere del tutto la centralità che pure un tempo il Meeting aveva conquistato, supportato da un’azione culturale consapevole che si fondava su due pilastri: il settimanale Il Sabato e la casa editrice Jaca Book.

Sono lontani i tempi in cui il Meeting era modello per destra e sinistra alle prese con il tramonto delle narrazioni ideologiche novecentesche. Lontanissimi i raduni che deflagravano nel dibattito giovanile interrogandosi sugli archetipi della tradizione occidentale: Parsifal, Socrate, Sherlock Holmes, Antigone. Nell’anno di grazia 1985 il popolo di Giussani toccò l’apice della sua storia. Con centocinquantamila aderenti poteva permettersi di riesumare dalle nebbie del medioevo i cavalieri del Graal e di fare a meno della visita del segretario Dc Ciriaco De Mita, così come due anni prima aveva fatto a meno di quella del presidente “partigiano” Sandro Pertini. Può osare lanciare un messaggio ai giovani disorientati dalla politica dopo la stagione luttuosa degli anni di piombo: «La Bestia è infelice, Superman è un uomo solo, mentre Parisfal è libero perché sa crescere». Sono gli anni in cui il Meeting riesce a sovvertire i paradigmi dei vecchi partiti: è la cultura a tenere in braccio la politica. E i ciellini non temono di avventurarsi su terreni inesplorati: non riscoprono solo il Medioevo con le opere di Régine Pernoud e di padre Chenu, non si abbeverano solo dell’antropologia cattolica di Henri de Lubac, incrociano Pound, Peguy e Pasolini. Invitano a Rimini Augusto Del Noce, di cui è allievo il filosofo del movimento, Rocco Buttiglione.

Sono lontani i tempi in cui il Meeting era modello per destra e sinistra alle prese con il tramonto delle narrazioni ideologiche novecentesche. Lontanissimi i raduni che deflagravano nel dibattito giovanile interrogandosi sugli archetipi della tradizione occidentale: Parsifal, Socrate, Sherlock Holmes, Antigone. Gli anni in cui era la cultura a tenere in braccio la politica

Non potevano immaginare i ventenni di allora, che oggi hanno più di cinquant’anni, che le seduzioni del potere avrebbero deteriorato tutto quell’entusiasmo, quelle energie, rendendo alla fine quel modello inservibile. Eppure, sarebbe bastato leggere con attenzione la saga dell’Anello di Tolkien, autore di cui Jaca Book dava alle stampe la biografia proprio nel 1985. Oggi si legge l’ateo e nichilista Houllebecq, nessuno crede alla pace tra i popoli e non c’è più un Lech Walesa da invitare a Rimini. L’imperativo della “visibilità nella società” deve essere rivisto, magari accontentandosi di qualche poltrona in consiglio regionale. In questo limbo di bilanci e ripensamenti meglio esserci stando nell’ombra. Le grandi utopie politiche sono state sostituite, anche grazie a loro, dai “piatti” della politica. E i risultati non si sono fatti attendere.

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