Il comunismo non avrebbe portato la pace, la prosperità e l’uguaglianza solo sulla Terra, pensavano gli utopisti del XX secolo. Ma si sarebbe diffuso e organizzato anche su altri Paesi. Sognare un altro mondo non era solo possibile, all’epoca: era un dovere. Incoraggiati dai successi scientifici della Russia – ad esempio, il lancio dello Sputnik, il 4 ottobre 1957, il primo satellite artificiale della srotia – illustratori, narratori e designer sovietici si immaginavano forme e meccanismi delle future (sono ancora future, inoltre) colonie comuniste. Erano altri tempi, la conquista dello spazio sembrava dietro l’angolo e la gara contro gli Usa, che sul pianeta Terra era troppo limitata, aveva traslocato al piano di sopra, cioè, al cielo.
Queste sono alcune delle rappresentazioni delle colonie marziane comuniste. Come si nota, il dato tecnico/tecnologico si dimostra imprescindibile. I paesaggi sono dominati da macchinari futuristici, uomini in tuta e scafandro, apparecchiature ipertecnologiche. Ciò che distingue installazioni sovietiche da eventuali colonie americane sono, ogni tanto, solo i simboli che accompagnano i razzi e le astronavi: la falce e il martello, la stella rossa. Era difficile tradurre gli ideali di uguaglianza e libertà promessi dal comunismo in architetture aliene.
Le immagini sono illustrazioni di libri di scuola: il primo raffigura due cosmonauti sovietici ritratti su Technike Molodezhi, “Gioventù Tecnologica”. Quelle successive da Station Moon, un libro per bambini degli anni ’60 e ’70, disegnate da Pavel Klushantsev.