Si chiama Screamin Eagle Super Tuner, è una scatoletta arancione che sta in una mano e permette di riprogrammare la centralina delle Harley Davidson. La colleghi alla moto e al computer, cambi una serie di parametri e ottieni un po’ di quelle cose che fanno impazzire gli appassionati. Abbassare il minimo, aumentare la ripresa, avere una risposta più rapida al comando del gas. È quello che cercano di fare da sempre i ragazzini a ogni latitudine, cambiando i pezzi delle moto, a partire dai cinquantini. Ma è una pratica che l’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente ha deciso di sanzionare. Harley Davidson dovrà distruggere tutti questi tipi di “super tuner” in commercio, ritirandoli dai distributori. Dovrà sospendere la vendita e garantire che gli accessori simili venduti in futuro siano conformi alle regole ambientali. Dovrà pagare 12 milioni di dollari come multa e altri 3 per opere di mitigazione ambientale. Il motivo è semplice: con questo escamotage i bikers riuscivano ad aggirare i limiti delle emissioni di idrocarburi e monossido di ozono. L‘Harley Davidson è stata ritenuta responsabile perché la gran parte delle elaborazioni compiute grazie alle 340mila centraline vendute, erano effettuate presso suoi centri assistenza.
Tecnicamente non è una multa ma un patteggiamento, che ha permesso alla società di Milwaukee di mettere una pietra sopra anche su un altro scandaletto non da poco, la vendita di 12mila moto che non avevano la certificazione dell’Epa volta ad assicurare che vengano rispettati gli standard sulle emissioni.
La casa tedesca aveva mentito, truccando i software che registravano le emissioni. Quella di Milwaukee ha avuto un comportamento all’apparenza più trasparente, perché i suoi modelli uscivano in regola e stava alla responsabilità dei clienti modificare i parametri
Considerato che l’Epa è la stessa agenzia che ha scoperto lo scandalo Dieselgate, per il quale la Volkswagen sta pagando multe per miliardi di dollari, i 12 milioni inflitti alla Harley Davidson si possono considerare un buffetto. Il titolo della Harley Davidson ha avuto una caduta il giorno della notizia, il 18 agosto, salvo rialzarsi immediatamente. La mano questa volta è stata piuma è per una differenza rispetto al caso Volkswagen, chiara sia agli occhi dell’agenzia, sia a quelli della maggior parte dei commentatori statunitensi. La casa tedesca aveva mentito, truccando i software che registravano le emissioni. Quella di Milwaukee ha avuto un comportamento almeno formalmente più trasparente, perché i suoi modelli uscivano in regola e stava alla responsabilità dei clienti modificare i parametri.
Quello che è arrivato è soprattutto un messaggio, dato alla società nota tra gli appassionati da un secolo come Hog (letteralmente, maiale) e alle altre case che vendono lo stesso tipo di dispositivi. «Data la preminenza dell’Harley Davidson nel settore, è un passo molto significativo verso il nostro obiettivo di fermare la vendita di dispositivi illegali nell’after market, che causano un inquinamento nocivo sulle nostre strade e nelle nostre comunità», ha detto in una nota, significativamente, il capo della divisione ambiente del Dipartimento di Giustizia.
L’avvertimento è arrivato anche ai clienti delle Hog, che le apprezza perché pesanti, grosse, rumorose, con buona pace delle emissioni. Se prevarrà la versione polite di un marchio che per decenni è stato simbolo di ribellione, sarà solo l’ultimo atto di un cambiamento di status. Le Harley erano moto per giovani della working class. Nel 1987 gli acquirenti avevano per lo più meno di 35 anni e avevano un reddito medio di 38mila dollari. Oggi l’età media dei clienti è di 46 anni e già nel 1997 il loro reddito si era alzato a oltre 80mila dollari. I tentativi di riprendere il pubblico giovane per il momento sono andati a vuoto e non a caso negli Usa le vendite quest’anno sono scese del 5 per cento. Al contrario della vecchia Europa, dove il mito resiste e le vendite crescono quasi a doppia cifra.