In matematica la prova del nove è un test infallibile per verificare la correttezza delle operazioni con numeri primi. In politica non ci sono strumenti così esatti, ma l’esordio della giunta di Virginia Raggi ci assomiglia moltissimo: lì è possibile cercare e trovare la prova del nove della pervasività assoluta del Partito degli a Affari nelle grandi dinamiche amministrative, una capacità di contaminazione virale giacché anche agli organismi più sani e dotati di anticorpi basta toccare un tavolo, una sedia, o forse solo respirare l’aria del Campidoglio, per trovarsi infettati.
Il Partito degli Affari romano arriva dappertutto. E questa vicenda dell’assessore Paola Muraro – al di là dei risvolti penali – ci dimostra che può arrivare se vuole persino nella blindata e incorruttibile cittadella dei Cinque Stelle, una cittadella ancora misteriosa persino per molti giornalisti che si sono applicati a raccontarla, ma non per loro. Magari sarà poco ascoltato, magari con altri ci parlava meglio, però ci arriva.
Lo abbiamo visto già succedere in passato. Roma ha votato per tre volte consecutive “sindaci marziani”, e per tre volte il Partito degli Affari si è preso la sua rivincita in cinque minuti
Lo abbiamo visto già succedere in passato. Roma ha votato per tre volte consecutive “sindaci marziani”, scegliendoli proprio per la loro estraneità a quel mondo opaco che ogni residente in città conosce bene, e per tre volte il Partito degli Affari si è preso la sua rivincita in cinque minuti. Colonizzò la giunta Alemanno quando ancora non era passato un anno dall’insediamento. Fece impazzire Marino, che un po’ cedeva e un po’ teneva duro alle richieste e alle sollecitazioni, fino a trovarsi decapitato. E adesso ecco qui, soffia sul collo di Virginia Raggi attraverso le relazioni di Paola Muraro, penalmente irrilevanti ma politicamente fastidiosissime, e dice ai romani: scordatevi il cambiamento, potete pure eleggere Gengis Khan o la Fata Turchina, noi ci saremo sempre e avremo sempre il numero di telefono giusto da chiamare.
La forza del Partito degli Affari sono i soldi e la fragilità della politica, che da vent’anni gestisce come emergenze cose semplici – rifiuti, trasporti, case popolari – che in tutta Europa sono adempimenti di routine dagli anni ’90. Le scelte di fantasia e d’urgenza rese necessarie da questo stato di alterazione permanente sono il vero Mondo di Mezzo romano, dove ai confini tra legalità ed estorsione si fanno gli affari migliori. E non una volta: tutti i santi giorni. Ignazio Marino ha raccontato che un solo impianto privato, uno, per la separazione dei rifiuti indifferenziati che era impossibile lavorare altrove, fruttava 175mila euro quotidiani, domeniche comprese. Cifre da capogiro: non è difficile immaginare quanto possa essere virale il tocco di persone con questa disponibilità, con questo livello di interessi in campo, che per di più agiscono con i loro metodi da mezzo secolo e hanno quindi una rete amicale larga e solidissima a cui fare ricordo.
Le scelte di fantasia e d’urgenza rese necessarie da questo stato di alterazione permanente sono il vero Mondo di Mezzo romano, dove ai confini tra legalità ed estorsione si fanno gli affari migliori. E non una volta: tutti i santi giorni
Anche chi non ha votato M5S si augurava, e si augura ancora, il successo della neo-sindaca proprio per questo, perché la città non ne può più, è spolpata e ai limiti del collasso. E di questo sentimento deve tenere conto la politica: va bene fare i propri interessi puntando l’indice, ma la destra e la sinistra, Orfini e la Meloni e i molti altri che si esercitano nel tiro al bersaglio, dovrebbero imporsi un salto di qualità. Loro sanno molte cose. Loro possono spiegare come funziona il Partito degli Affari. Loro, e i loro partiti, ne sono stati danneggiati e quasi demoliti. Loro potrebbero e dovrebbero esercitare le risorse non piccole dell’opposizione anche e soprattutto contro questo schieramento invisibile che si è mangiato la politica romana rendendola impresentabile.
Fare fuoco sulle vicende di questa giunta appena nata sperando di ricavarne dividendi elettorali in campo locale e nazionale è un progetto sbagliato. Non ci sarà guadagno, ma solo un ulteriore sentimento di frustrazione nell’elettorato all’insegna del “pure questi, ma allora sono davvero tutti uguali”. E di certo è utopistico aspettarsi fair play tra forze che si combattono così aspramente, ma la riabilitazione della politica romana non passa per la guerra agli ultimi arrivati a suon di dimissioni: se davvero la si vuol fare, si apra il fuoco su chi c’è da sempre, sull’impalpabile Partito degli Affari che ha fregato tutti, se ci si impegni a tagliare i fili che li collegano alla gestione delle cose cittadine, a far emergere persone decenti e competenti ai tavoli delle decisioni. Se no, bye bye. Stavolta, morto un Papa non se ne farà un altro. La prossima volta la città manco andrà a votare e lascerà le cose in mano al primo che capita, tanto è uguale.