Lavori tutto l’anno. Sogni le ferie come non ci fosse un domani. Finalmente arrivano. Ti metti in macchina insieme a tutti i tuoi compatrioti. Risultato, arrivi al luogo delle tue vacanze dopo qualcosa come dieci ore di auto, per coprire una distanza di poche centinaia di chilometri. Lì ti aspetta tua suocera. Pensi, non può piovere per sempre, e mentre lo pensi ti rammenti che Brandon Lee, che interpretava il Corvo, non è che abbia fatto una bella fine. Comincia a piovere. E non smette per i primi giorni. Giorni che passi tappato in camera. Finalmente arriva un barlume di sole. Salti in auto, direzione mare. E lì commetti l’errore fatale, quello che manda a puttane l’ultimo residuo di speranza che avevi di fare una vacanza come Dio comanda, accendi l’autoradio. Lo sapevi, che dalla radio non sarebbe potuto arrivare niente di buono, ma il fatto che tu sia nato in un’epoca in cui, magari, dalla radio passava anche bella musica ti ha sempre fottuto, e stavolta non fa eccezione. È estate, sei in vacanza, e parte uno dei tormentoni che ogni anno arrivano a tormentarci, appunto. Nello specifico, quest’anno il tormentone è una canzone, chiamiamola così, che è la prova provata che Dio esiste, ma che voi gli state profondamente antipatici.
I tormentoni estivi sono la prova che Dio esiste ma gli state antipatici
È una roba che difficilmente riusciremmo a classificare, ma che proprio dovendolo fare definiremmo rap su base EDM. Si intitola Andiamo a comandare, e la canta/rappa uno tizio coi baffi che si chiama Fabio Rovazzi. Uno che, appena la canzone è esplosa, senza possibilità di ritorno, si è giustamente precipitato a chiedere scusa ai colleghi, commettendo un errore di mira. Non era ai colleghi che doveva chiedere scusa, ma agli ascoltatori. Perché i colleghi hanno sì avuto la sventura di ascoltare questa cagata, ma siamo soprattutto noi, anzi, siete soprattutto voi che ascoltate la radio che state pagando pegno. Andiamo a comandare è uno scherzo, ci dice Rovazzi, che si definisce un comico, non un cantante. Una sorta di C’è da spostare una macchina di Francesco Salvi, solo che fa il verso al pop-rap dei vari Guè Pequeno o Fedez, e ha un testo che ribalta i cliché dei pop-rappettari, cioè che fugge dai vizi a vantaggio di presunte virtù. Niente droghe e mito dei soldi, quindi. Tutto bello, si trattasse di una gag televisiva, invece è una canzone. Brutta. Molto brutta. Una roba oscena. Fatta da uno che non fa musica. E endorsata, termine talmente brutto che in questo caso calza a pennello, dallo stesso Fedez, un altro non musicista che fa musica di una bruttezza imbarazzante.
Rovazzi ha chiesto scusa ai musicisti per il successo del suo pezzo. Avrebbe dovuto scusarsi con gli ascoltatori
Musica molto brutta che incontra il plauso dei ragazzini, anzi, dei bambini, il pubblico che oggi spinge le canzoni in alto in classifica. La domanda che di solito accompagna i soliti articoli sui tormentoni estivi, come questo, è: perché? Stavolta la domanda è duplice, perché se da una parta ci si interroga sul motivo per cui una canzone oggettivamente brutta diventa virale, altro termine decisamente brutto, nello specifico ci si interroga sul motivo per cui una canzone oggettivamente brutta scritta da uno che rivendica di essere arrivato alle canzoni quasi per sbaglio debba trovare modo di diventare un tormentone. È una tassa che dobbiamo pagare? Una pena che dobbiamo scontare? Non basta la sabbia che finisce dentro il costume o l’ustione di terzo grado che prendiamo perché abbiamo confuso la crema Nivea con la crema solare? I tormentoni sono canzoni che si inchiodano alla testa e faticano a uscirne, è noto, un po’ per la loro natura di tormentoni, la loro orecchiabilità, la semplicità della loro struttura melodica, a volte anche la familiarità che l’essere scritta sui soliti accordi porta con sé, ma a questo va anche aggiunto che se tutti i media spingono un determinato tormentone è assai difficile che questo non ci si inchiodi alla testa, esattamente come funziona con certi refrain dei comici alla Zelig. Avete presente, no? I vari, “chi è Tatiana?” o “Frengo, oh, Frengo”, e nel citare questi due esempi già potete intuire quanto anche quel tipo di programmi mi abbia abbondantemente sfinito.
Nel caso di tormentoni come “Andiamo a comandare” c’è un’ulteriore aggravante, siccome il tipo, Rovazzi, si è autocertificato uno di passaggio, diventando automaticamente simpatico a buona parte di chi, in un mondo giusto, lo avrebbe lapidato in pubblica piazza, ora dire che Andiamo a comandare ci fa cagare sembra quasi sostenere che dare delle cicciottelle alle tiratrici con l’arco è cosa buona e giusta (non lo è, sto praticando l’arte del paradosso).
Basta con i radical-chic e gli snob: “Andiamo a comandare” è uno dei tormentoni più orribili degli ultimi decenni senza possibilità di appello
Se osi dire che questa canzone è lo Zeitgeist dell’Italia nel 2016 viene automaticamente equiparato a Alberto Arbasino o a Tom Wolfe che se ne va a spasso di bianco vestito nelle campagne del nord della California. Ti si taccia di essere un radical chic, di essere uno snob, di non avere più il polso delle situazione, di aver perso ogni contatto con i giovani. In genere a dirti questo è un qualche tuo coetaneo, possibilmente anche qualcuno più vecchio di te, che pensa che indossare le Hogan voglia dire nascondere rughe e pancetta, e soprattutto un grado di deficienza pari solo alla bruttezza della canzone da cui questo ragionamento è partito. Ecco, se dire che “Andiamo a comandare” è uno dei tormentoni più orribili usciti negli ultimi decenni e che, quindi, se questo è il termometro della nostra nazione, beh, ragazzi, prepariamoci a correre sparando in testa agli zombie, se dire tutto questo equivale a essere dei radical chic e degli snob, gente che vuole isolarsi dalla contemporaneità perché vede nella contemporaneità solo cose brutte, come chi inneggia ai trattori in tangenziale dando vita poi a una serie di altrettanto orribili meme con l’aereo uscito di pista a Orio al Serio. Insomma, se dire che “Andiamo a comandare” è una cagata equivale a essere radical chic, io mi proclamo radical chic. Di più, ambisco a finire in una comune come un Richard Brautigan o un Ken Kesey strafatto di acidi, e se non sapete chi sono, beh, evidentemente avete passato davvero troppo tempo incollati alla radio a bere acqua minerale. Drogatevi come tutti i vostri coetanei e non rompete i coglioni, ragazzini, perché altrimenti toccherà che a drogarci saremo noi, della parodia di chi già è in sé una parodia possiamo serenamente fare a meno.