Summer Jamboree, il revival rock ci rassicura, perché è finto

Il festival rock anni 50 di Senigallia ha trasformato la trasgressione in parco divertimenti per famiglia. E tutto sommato, visti i tempi, va bene così

C’è una scena di Ritorno al futuro che è tra le più famose del cinema leggero di tutti i tempi. Marty McFly, il personaggio interpretato da un incredibile Michael J. Fox, in questo film al meglio, ha modo di salire su un palco dove una band, ma forse sarebbe più il caso di chiamarlo un complesso, sta suonando tranquillamente. Siamo negli anni Cinquanta, nel passato, quindi la musica che fanno è prima della rivoluzione rock. Marty McFly è tornato indietro nel tempo e ora sta lottando per far mettere suo padre con sua madre, ma questo, per la storia che stiamo raccontando noi, è irrilevante.

Una volta salito sul palco imbraccia una chitarra elettrica, alza al massimo il volume e, come un indiavolato, comincia a suonare un furioso rock’n’roll. Uno dei camerieri presenti, un ragazzo di colore, sente quella musica strana e travolgene, chiama suo cugino Chuck da un telefono pubblico, gira la cornetta verso il palco e gli fa sentire quella che è senza ombra di dubbio la prima esecuzione al mondo, almeno nel mondo pensato da Zemeckis, di Johnny B. Goode. Il Chuck in questione, non c’è bisogno di sottolinearlo, è Chuck Berry.

Ogni anno, se capitate a Senigallia, provincia di Ancona, tra la fine di luglio e la prima settimana di agosto vi capiterà l’esperienza di essere arrivati nel set di Ritorno al futuro qualche settimana dopo che il Marty McFly di Michael J Fox ha involontariamente insegnato a Chuck Berry Johnny B. Goode, in pieni anni Cinquanta. Un’esperienza altrettanto straniante, sicuramente divertente e fuori dall’ordinario. A Senigallia, infatti, profonde Marche, la cittadina della Spiaggia di Velluto, della Rotonda sul mare cantata da Fred Bongusto e di Fabri Fibra e Nesli, ormai dal diciassette anni va di scena il Sumeer Jamboree, il festival di Musica e Cultura dell’America anni ’40 e ’50. Il Festival che viene descritto come il più hot, ma che in realtà è il più grande per presenze di spettatori, provenienti da ogni angolo d’Europa, in particolar modo dal nord, paesi Scandinavi in testa, dove il vintage e la cultura rockabilly ha un seguito particolare.

Per una settimana, quindi, la ridente cittadina marchigiana, solitamente adibita a un tranquillo turismo per famiglie diventa altro. Si viene catapultati in una qualsiasi cittadina americana di quelle immortalate in telefilm come Happy Days, per intendersi, e il leit motiv è la musica rock’n’roll, in modo particolare rockabilly e hillibilly, quindi la danza acrobatica su queste note, i party tematici, da quelli hawaiani a quelli dedicati alle pin-up, il vintage in tutte le sue sfumature, il burlesque. Argomenti, sembrerebbe, accostati un po’ fantasiosamente, ma in realtà tutti riconducibili a quell’epoca che il festival in questione intende celebrare.

Perché tutte le frequentatrici del Summer Jamboree, o quasi, sono vestite a tema e prendono questa cosa tremendamente sul serio. C’è un florilegio di calze con la riga dietro, di nei finti fatti sul mento, di capelli cotonati e raccolti con eoni di spray di lacca, tette strizzate in bustini che, ormai, si trovano un po’ in tutte le città

Camminerei arbasinianamente per le vie di Senigallia, affrontando uno dei tanti eventi live, dove ultimamente passano oggettivamente nomi meno interessanti che in passato, almeno per un non cultore del genere, o spiluccare tra i negozietti intorno alla Rocca, soffermarsi a guardare con quanta serietà la gente affronta il ballo, le scarpe coi tacchi alti, i berretti arrotolati e infilati in quegli spazi che si trovano, non a caso, sulle spalle di certe camicie militari, guardare gli spazi dedicati ai tatuatori, le belle donne italiane che si aggirano come fossero emule di Betty Page tanto quanto di una di quelle hostess hawaiane che vediamo nei film guarnire di ghirlande floreali i turisti appena arrivati a Honolulu. Tutto acquista una credibilità in realtà incredibile. Siamo a Senigallia. Qui la gente parla questo strano accento che mescola il tipico marchigiano, quello che per i non locali è in realtà più simile al ciociaro di Manfredi che al maceratese, e il romagnolo, non inglese. Gli avventori del festival, in realtà, parlano anche inglese, perché molti sono stranieri. Ascoltare uno dei tanti concerti gratuiti di fianco a un gruppo di bikers, manco fossimo dentro una pagina di Hell’s Angels di Hunter S. Thompson fa oggettivamente impressione.

Come vedere, ma è accaduto anni fa, non in questo 2016, Dita Von Teese danzare dentro una coppa gigante di Martini. Il burlesque, la celebrazione delle pin-up è una delle fonti di maggior catalizzazione di questi giorni agostani. Perché tutte le frequentatrici del Summer Jamboree, o quasi, sono vestite a tema e prendono questa cosa tremendamente sul serio. C’è un florilegio di calze con la riga dietro, di finti nei sul mento, di capelli cotonati e raccolti con eoni di spray di lacca, tette strizzate in bustini che, ormai, si trovano un po’ in tutte le città, nei negozi vintage o, alla peggio, nei sexy shop. Ecco, la sessualizzazione, ormai caratteristica di quasi tutti gli eventi mondani in questi nostri tempi, è la grande assente di questa bella festa pubblica. C’è aria di divertimento, di gioiosa condivisione, di ballo e, visto il burlesque, anche di ammiccamento, ma senza pruderie. Questo, immagino, non tanto per adesione ai canoni dell’epoca, perché i cattivi ragazzi hanno fatto il loro ingresso nell’immaginario occidentale proprio allora, grazie ai vari Marlon Brando e Steve McQueen, per non dire di Elivs the Pelvis, ma proprio perché non ce n’è bisogno, questa è una festa laica e se si finirà a trombare lo si farà senza tante sovrastrutture.

Sentire Bennato che suona in spiaggia le canzoni che gli americani hanno portato a Napoli, vedere Dario Salvatori e Renzo Arbore aggirarsi per Senigallia come fossimo a Memphis, tutto ci porta altrove. In un posto migliore, quanto meno perché finto

Le Marche, una regione paciosa, almeno in apparenza, sempre in testa alle classifiche di vivibilità in Italia, quest’anno al secondo posto dopo l’Umbria, in realtà attraversate dalla crisi e tutto quello che la crisi comporta, almeno per una settimana, si spostano in un’altra epoca. Un viaggio nello spazio, perché è l’America la perfetta location di questa cultura e soprattutto un altro tempo, un’altra epoca, gli anni del dopo guerra, della ricostruzione, del boom economico, del rock’n’roll.

Sentire Bennato che suona in spiaggia le canzoni che gli americani hanno portato a Napoli, vedere Dario Salvatori e Renzo Arbore aggirarsi per Senigallia come fossimo a Memphis, tutto ci porta altrove. In un posto migliore, quanto meno perché finto. Poi, ovviamente, alla centesima bancarella che vende vecchi vestiti o 45 giri di Muddy Waters, alla centesima band di rockabilly, il contrabbassista che suona in piedi sul suo strumento inclinato, alla centesima vecchia auto d’epoca vista in giro, immancabilmente fotografata con lo smartphone e postata su Facebook, uno si rompe pure i coglioni e comincia a rimpiangere Rovazzi che reitera il concetto di Andiamo a comandare in quella cagata che impazza ai giorni nostri. Dopo tante maggiorate viene addirittura voglia di una Top model filiforme. Quindi, amici miei, il trucco è venire via prima che la sbornia viri in cattivo, un po’ come nella vita di tutti i giorni. Tanto fra un po’ finiscono le ferie e avremo ben altri motivi per farci girare le scatole.

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