Ormai le sparate di Donald Trump, candidato repubblicano alla Casa Bianca, non si contano più. Nel giro di pochi giorni è riuscito a suggerire ai sostenitori del Secondo Emendamento (cioè delle armi per tutti) di uccidere Hillary Clinton nel caso vincesse le elezioni e intervenisse sulla legislazione delle armi. La cosa ha suscitato, a ragione, reazioni indignate e sconcerto – anche se, a ben pensarci, per gli Usa non sarebbe la prima volta. Anzi, sarebbe la quinta.
Non contento, ha poi dichiarato che il presidente in carica Barack Obama, con l’appoggio di Hillary, sia il “fondatore” dell’Isis. Ha detto proprio così, lo ha ripetuto più volte: “fondatore”. Lo ha ribadito in una intervista successiva, dove Hugh Hewitt, di chiare simpatie repubblicane, aveva anche cercato di offrirgli una buona via d’uscita: “Capisco cosa intende. Lei vuol dire che Obama ha creato il vuoto, ha distrutto la situazione di pace nell’area”, ha detto. E invece Trump ha insistito: “No, io dico proprio che Obama è il fondatore dell’Isis. Il fon-da-to-re”.
Molto bene. Ognuno ha diritto ad avere le proprie idee, giuste o sbagliate (o anche solo strampalate). Questa poi sarebbe anche curiosa, se a dirla non fosse il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, certo. E lo sarebbe anche di più se non la pensassero, insieme a The Donald, anche milioni di altre persone.
Eh già. Come aveva già scritto nel 2014 il New York Times, nei Paesi del medioriente l’ipotesi che dietro all’Isis ci sia Obama, o più in generale gli Usa (e Israele) circola più o meno da sempre. In particolare, i più convinti di tutti sono gli iraniani. L’ayatollah Khamenei lo ha detto in pubblico: “Non c’è dubbio che questi movimenti siano la creazione dei poteri occidentali e dei loro agenti regionali”. Lo stesso pensano gli iracheni, che “non riescono a capire perché i bombardamenti colpiscano i civili e non i miliziani”, i libanesi, i palestinesi e perfino molti componenti delle comunità islamiche americane (senza dimenticare i complottisti di ogni parte del mondo).
A sostegno di questa lettura sono usciti anche documenti (non verificati), leak interni al Pentagono di anonimi ufficiali che ammettono: l’Isis è solo un gruppo di mercenari assoldati per creare un pericolo interno, intervenire con le bombe e colpire il vero nemico, cioè Bashar al Assad. Il motivo? Una disputa piuttosto pesante sul percorso di un canale del gas. A dare il cash ai terroristi, in via diretta, sarebbero i sauditi. Le armi arrivano da Occidente, stavolta in modo indiretto. Una riedizione di Al Qaeda (perché sì, anche Al Qaeda – sostengono – era una creazione Usa fatta apposta per partire e bombardare Afghanistan e Iraq). La conferma, sostengono, è da cercare nei libri della Clinton.
D’accordo con le popolazioni mediorientali, infine, ci sono i russi. E qui, come indica l’Observer (di proprietà di un parente di Trump, tralaltro), casca l’asino. Putin, per almeno un paio di anni, è andato ripetendo che l’Isis fosse una creatura degli States. È molto probabile – suggerisce il magazine – che l’origine del ragionamento di Trump sia da cercare qui, in Russia. Mike Flynn, il guru per le materie di sicurezza nazionale, lo ha (quasi) affermato in più occasioni. Ora: Flynn è un generale in pensione, licenziato da Obama, passato dalla parte di Putin (ha preso dei soldi per fare una fotografia con lui) e nome di punta nelle interviste di RT, il canale di propaganda del Cremlino. Difficile non pensare che non ci sia una certa influenza. E difficile non pensare che sia arrivata, da laggiù, fino al cervello di The Donald.
Poi, magari, hanno ragione loro. Anche se l’Isis, di fatto, è nato nel 2006. Quando Obama, dal punto di vista politico, era ancora in fasce.