Vivere “nella zona”: come funziona il cervello degli atleti più forti del mondo

Secondo numerosi studi, durante la loro prestazione gli sportivi vivono in due possibili stati: o sono "nel flusso" o in uno stato "di massimo impegno". È così, eccellenza fisica a parte, che riescono a ottenere risultati grandiosi

Medici e biologi sono affascinati dai successi degli atleti: in particolare quando, dopo anni di serrati allenamenti, riescono a piegare i propri corpi in situazioni giudicate impossibili. I recordman allargano lo spettro delle possibilità del corpo umano: la velocità, la distanza, la resistenza. Ogni nuovo primato è, di fatto, una riscrittura delle convinzioni sulle nostre possibilità fisiche.

Questo, insomma, per quanto riguarda il fisico. E per la mente? Come sa ogni sportivo, essere preparati e allenati non basta: ogni vittoria è anche il risultato di uno stato psicologico particolare. Quello che, nel gergo, viene definito “la zona”.

In realtà, come spiega con profondità The Conversation, secondo le ultime ricerche esistono almeno due tipi di “zona”. Secondo i giocatori professionisti di golf, ce ne è una definibile come “lasciare che le cose vadano da sole” e una, invece, “fare sì che le cose accadano”. Il linguaggio, per il momento, non ha ancora formulato una definizione abbastanza completa per comprenderle.

Le cose che vanno da sole
È, nella sostanza, il concetto di “flusso”. Avviene in varie circostanze, quelle in cui si realizza una piena concentrazione (sopratttutto durante le prestazioni sportive). È uno stato di eccellenza senza sforzo, in cui tutto – ogni movimento, ogni gesto, ogni azione – funziona senza problemi, ogni cosa sembra andare al suo posto, e tutto ciò che accade altro non è ciò che deve accadere. Totale assorbimento mentale unito a consapevolezza e fiducia e, soprattutto, automatismo. Uno stato di grazia, insomma, ma non ipnotica.

Le cose che accadono
È una condizione mentale alternativo, ma spesso coesistente con il primo. È il momento del “cuore oltre l’ostacolo”, lo sforzo aggiuntivo necessario per raggiungere un risultato. È la cosiddetta clutch situation, momenti limite della prestazione sportiva (ad esempio, l’avvicinarsi della fine della partita con un risultato da pareggiare, o lo sprint al termine di una gara di nuoto), in cui l’atleta sa che deve aumentare l’intensità e l’impegno. Se il momento di “flusso” avviene in modo automatico, quasi come se lo sportivo fosse posseduto, qui è fondamentale la consapevolezza, attiva e massima, da parte dell’atleta.

Insomma, i grandi campioni vivono a metà tra i due stati: o con il flusso, o con il massimo impegno. A volte, nel corso della stessa prestazione, le due condizioni si alternano. A volte, invece, si vince per motivi del tutto estranei alle proprie condizioni mentali. Ma capita solo a Steven Bradbury.

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