L’invasione della plastica, dal mare alle nostre tavole

L'impatto delle microplastiche su pesci, molluschi e crostacei è dannoso e, risalendo tutta la catena alimentare, dal mare i prodotti tossici arrivano nei nostri piatti. Greenpeace dice: preveniamo

Non è allarmismo. Ma la probabilità di consumare un pasto a base di pane, vino e plastica sembra essere alta.

Fra tutti i generi di rifiuti presenti nelle acque, la plastica, che ha subito un aumento della produzione esorbitante negli ultimi 11 anni (da 204milioni a 299milioni di tonnellate fra 2002 e 2013), ricopre il 60 o l’80 per cento. I frammenti sparsi in mare sono fra 5 e 50mila miliardi, per un peso che supera le 260mila tonnellate. Ma nonostante sia noto l’effetto drammatico delle plastiche più grandi sulla flora e sulla fauna marina ed intacchi di più la sensibilità comune, i problemi maggiori sono quelli che non possiamo vedere facilmente: le microplastiche.

«Non ci sono ancora analisi precise che dimostrano scientificamente gli effetti di queste sostanze sulla specie umana e, nonostante nessun caso di contaminazione sia mai – o meglio sia ancora – stato accertato in un uomo, è intuibile che qualcuno sia ormai venuto a contatto con le microplastiche», dice Giorgia Monti, responsabile della campagna “Mare” di Greenpeace Italia.

Vari studi stanno infatti esaminando il possibile effetto sanitario derivante dal consumo di prodotti ittici contaminati da sostanze tossiche. Sebbene le ricerche siano ancora agli albori, i risultati per ora divulgati evidenziano un rischio concreto. Come conseguenza diretta del trasferimento delle sostanze tossiche ai tessuti, un effetto è sicuramente l’alterazione delle nostre funzioni cellulari. Per esempio, il bisfenolo A, un inquinante spesso presente nei rifiuti in questione, interferisce con il nostro sistema endocrino e può avere effetti tossici sullo sviluppo di un feto.

Con un diametro massimo di cinque millimetri, le microplastiche posso venire prodotte direttamente dalle industrie o staccarsi da pezzi di plastica più grandi disgregati dai moti ondosi o dal vento sotto il livello del mare.

La domanda è: noi come ce le ritroviamo nel piatto? Il passo dal mare alla tavola è breve.

Proprio per la minuscola dimensione, queste sostanze assorbono molti più agenti contaminanti, ma sono anche ingerite da un numero enorme di pesci o semplicemente assorbite da organismi filtranti come cozze, vongole e ostriche.

L’intero ciclo e movimento delle microplastiche nell’ambiente non è ancora totalmente conosciuto ma le ricerche che si stanno svolgendo in questo ambito mostrano scoperte allarmanti

Al momento, si è certi che 170 organismi marini ingeriscono frammenti di plastica.

I più recenti studi scientifici, tramite ricerche ed esperimenti su pesci provenienti dai mari e dagli oceani di tutto il mondo, hanno portato alla luce dati allarmanti. Per quanto riguarda il Vecchio continente, su 121 esemplari di pesci del Mediterraneo centrale – comprese alcune specie altamente commerciali come il pesce spada o il tonno – è stata rilevata la presenza di frammenti di plastica nel 18,2% di questi. Su 26 pesci delle coste atlantiche del Portogallo nel 19,6%, mentre negli scampi provenienti dalle coste britanniche nell’83 per cento.

L’ingestione di questi frammenti, secondo studi specifici, provocherebbe nei pesci due problemi di natura diversa. Uno di tipo fisico, ossia delle lesioni agli organi dell’apparato digerente, che dipendono esclusivamente dalla consistenza della plastica e non dalla sua contaminazione. L’altro di tipo chimico, più pericoloso, cioè il trasferimento e l’accumulo delle sostanze tossiche nei tessuti.

Il problema però non riguarda solo i pesci che ingeriscono le plastiche, ma anche i loro predatori e i predatori dei loro predatori e così via fino ai massimi predatori della catena alimentare. Cioè, noi.

Altri studi sono stati anche condotti su organismi che si sono nutriti di individui contaminati e i risultati non sono affatto meno allarmanti. Per esempio, negli Stati Uniti è stato dimostrato che il 35% dei pesci del Pacifico del Nord che hanno ingerito plancton contaminati presentano frammenti di plastica nei loro organismi.

Il problema riguarda quindi tutta la catena e non può, e non deve, essere ignorato o sottovalutato.

Plastica nel piatto, una bomba tossica a orologeria


Greenpeace

La soluzione? Secondo Greepeace è la prevenzione.

L’organizzazione ambientalista “Marevivo” ha presentato una proposta di legge per fermare il consumo umano di questi materiali dannosi chiedendo al Parlamento mettere al bando la produzione e l’uso di microsfere di plastica (utilizzate spesso nei prodotti cosmetici), che possono essere sostituite da prodotti organici.

Siamo disposti a mangiare plastica per il privilegio di consumare di più? Questione di priorità.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter