Perché Bob Dylan non doveva vincere il Nobel

Torna l'equivoco del cantautore poeta, che in Italia conosciamo benissimo. Non avevamo bisogno del Nobel per sapere che Dylan era un artista immenso. E il Nobel premiando Dylan mostra solo una cosa: è finito

Si possono amare i testi di Bob Dylan, il suo buttare al vento politica e profezie con l’aria del busker in mezzo al primo portone che gli dia un po’ di suono, poi si può amare il suo periodo elettrico, e pure (anzi forse è questa la sua parte migliore e meno accademicamente notata) il suo essere musicista: il suo modo irregolare e imprendibile di stare sul tempo, da superchitarrista ritmico e poi la voce, il suo modo di farsela entrare nel naso e in gola, saper usare dolcezza e fastidio (come ogni grande artista contemporaneo) al servizio di un’apostrofe: personale, politica, e naturalmente trascendente. Si può anche pensare che Bob Dylan sia uno dei più grandi artisti del secolo.

E contemporaneamente pensare che il Nobel della letteratura dato a lui sia solo una media stupidaggine, un modo annunciato (è da qualche anno che gira la voce che Dylan sia tra i nobel-abili) di fare una (relativa) sorpresa a un presunto mondo paludato della Cultura. In questo senso, a voler essere maligni si può pensare che non è stato Dylan a vincere il Nobel, ma il Nobel a vincere Dylan: in termini di marketing culturale e di quello che si potrebbe definire fighismo percepito. A voler essere più che maligni, gli Accademici di Svezia ci fanno la figura di aver scoperto il rock, la Controcultura, gli anni 60 con 50 anni di ritardo. Un po’ come quei preti che per sembrare moderni alla predica dicono “Gesù ha la password del tuo cuore”.

Ma andiamo più a fondo. Dylan è stato premiato con il nobel della Letteratura “per aver creato nella tradizione della canzone americana una nuova espressione poetica”. Bene. La tradizione della canzone americana con la letteratura c’entra? Forse solo metà e metà. Naturalmente per la metà che riguarda i testi: se le musiche fossero premiabili si potrebbe ipotizzare un Nobel a Aarvo Part, o a Keith Jarrett. E perché limitarsi alla musica e lasciare fuori le altre forme d’arte? Magari si potrebbe pensare a Damien Hirst o a Maurizio Cattelan premiati a Stoccolma.

Quindi Bob Dylan è stato premiato per i testi: l’accedemico di Svezia Per Wastberg lo ha definito “il più grande poeta vivente” (bum!). Ma i testi sono solo una parte di una canzone, spesso nemmeno la più importante: tanto è vero che moltissimi capolavori della canzone hanno testi che se isolati non sono granché interessanti.
In breve: il Nobel amplifica magnificamente, e fa emergere in modo plastico, il famigerato equivoco del cantautore “poeta” che in Italia conosciamo a meraviglia. Dagli anni 70 in poi sulle antologia scolastiche hanno cominciato a spuntare i testi di De André (che detestava essere definito un poeta) o Guccini o Claudio Lolli. E i ragazzi delle scuole costretti a leggere il testo di una canzone come se fosse un testo poetico. Solo che i cantautori non sono poeti e i poeti non sono cantautori. Si tratta, molto banalmente, forme d’arte diverse. Norman Mailer, uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, ha chiosato l’idea che Bob fosse un autore letterario con un: “Se Dylan è un poeta io sono un giocatore di basket”.

A voler essere più che maligni, gli Accademici di Svezia ci fanno la figura di aver scoperto il rock, la Controcultura, gli anni 60 con 50 anni di ritardo. Un po’ come quei preti che per sembrare moderni alla predica dicono “Gesù ha la password del tuo cuore”

La scomparsa di Dario Fo proprio il giorno del Nobel alla letteratura (che aveva vinto nel 1997) rende ancora più chiara la faccenda. Fu contestato perché si diceva che il teatro non avesse niente a che fare con la Letteratura.
Ma tutta la storia della letteratura è fatta di un intreccio con il teatro costante: molte opere teatrali sono leggibili a sé, senza bisogno di vederle rappresentate: da Eschilo a Seneca a Shakespeare, da Alfieri a Goldoni a Ibsen a Pirandello. Il divorzio tra musica e letteratura invece è un fatto ben documentato (è avvenuto verso il 1300), e i tentativi di riunificazione, se ci sono stati, non è che abbiano avuto tutto questo peso formale. Fanno testo le citazione beatlesiane di Murakami e le playlist in appendice a Nick Hornby?

E si torna quindi all’inizio della questione. Il Nobel a Dylan dà l’idea di voler da una parte svecchiare la cultura (modello giovane prete con la password del cuore), dall’altra “nobilitare” con la parola “letteratura” una forma d’arte ibrida come la canzone. Be’ le canzoni di Bob Dylan non hanno bisogno del marchio del Nobel per essere quello che sono. E il Nobel non dovrebbe aver bisogno di Bob Dylan per essere quello che è. A meno che, e questo è il sospetto, non sia finito da un pezzo.