Si parla spesso di demografia in molte sue dimensioni – la fertilità, l’invecchiamento, il contributo delle migrazioni – ma forse per pudore è raro citare le statistiche sui decessi. Almeno una volta all’anno però il pensiero di tutti va verso i defunti ed è opportuno guardare la realtà in faccia.
Dal 2014 il numero dei decessi in Europa ha superato quello delle nascite e nel 2015 il saldo è stato di -135 mila unità (dati Eurostat). In metà dei 28 membri dell’Unione Europea il saldo è stato negativo – tra cui la Germania (-187 mila), dove però la popolazione totale è aumentata lo stesso perché il saldo migratorio è stato eccezionalmente alto (+1,152 milioni); in altrettanti invece è stato positivo – e in certi casi come Francia (+200 mila) e Regno Unito (+174 mila), di molto.
In Italia questi fenomeni sono amplificati: è ormai da nove anni che la dinamica naturale della popolazione (al netto cioè dell’immigrazione) è negativa e il saldo tra nascite e decessi è passato da -7 mila unità nel 2007 a -165 mila nel 2015 (653 mila morti contro 488 mila nati). Secondo l’Istat, il tasso di mortalità dell’anno scorso, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra, mentre le nascite hanno toccato il nuovo minimo storico addirittura dal 1861! E il nostro è uno degli otto paesi in cui il mancato ricambio generazionale è all’origine della contrazione della popolazione. Un altro è la Romania, dove ha origine la collettività straniera più numerosa in Italia.
In prospettiva l’aumento di mortalità in Italia è destinato a continuare, man mano che la generazione del baby boom invecchia. Già oggi il picco dei decessi risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni). Non c’è nulla di cinico allora nell’osservare che anche la morte è un business, anche se necessariamente non come gli altri. La domanda è abbastanza prevedibile, dato che prima o poi tutti siamo destinati a morire. Il servizio (il funerale) è un processo frammentato e pieno di frizioni, al riparo della globalizzazione – difficile importare funerali, becchini e cimiteri dalla Cina (che però esporta bare) – e da grandi ondate di liberalizzazione.
In prospettiva l’aumento di mortalità in Italia è destinato a continuare. Non c’è nulla di cinico allora nell’osservare che anche la morte è un business. La domanda è abbastanza prevedibile, dato che prima o poi tutti siamo destinati a morire. Il servizio (il funerale) è un processo frammentato e pieno di frizioni, al riparo della globalizzazione e da grandi ondate di liberalizzazione
Come spesso è il caso in Italia, anche in questa industria troviamo ostacoli alla concorrenza, invadenza del settore pubblico, dimensioni di impresa troppo modeste per innovare e internazionalizzarsi. Soprattutto, sono frequenti i fenomeni di procacciamento abusivo dei servizi e delle operazioni, diffusa l’evasione fiscale, insufficienti i crematori. Presentato a settembre 2014 e tuttora in corso di esame in commissione, il disegno di legge 1611 aspira a riordinare la disciplina di settore e allineare le attività funerarie agli standard europei.
Altrove il consolidamento è stato rapido. Negli USA Service Corporation of America (SCI) comprò Alderwoods Group nel 2006 per 865 milioni di dollari, creando un national champion che nel 2013 ha assorbito anche Stewart Enterprises per 1,4 miliardi. SCI, che ha operazioni anche in Canada (e ne aveva anche in Argentina e Australia, prima che tanto entusiasmo la portasse all’orlo del fallimento), sfrutta varie economie di scala, per esempio mega-strutture per l’imbalsamazione e la cremazione, oppure sconti sugli acquisti di bare e fiori. Controlla il 15% del mercato nazionale, con posizioni dominanti in molti mercati locali che hanno indotto la Federal Trade Commission ad esigere varie condizioni prima di autorizzare l’acquisizione. In Francia due uomini di finanza hanno creato Funecap nel 2010, che dopo l’acquisto di Roc Eclerc nel 2015 costituisce un degno rivale del leader OGF, che arriva a 540 milioni (in Italia sarebbe la 345° maggiore società, simile alla Ducati).
Occhio, anche all’estero quello della morte è un business con molte imperfezioni. In New Jersey quando l’arcidiocesi di Newark negli 11 cimiteri che gestisce si è messa a vendere il diritto ad erigere monumenti sulle tombe, la lobby delle case funerarie è riuscita a convincere il Governatore Chris Christie ad introdurre una legge che vieta ai cimiteri religiosi di farlo. Molti dei crematori costruiti ultimamente in Francia operano ben al di sotto del livello (almeno 700 all’anno) necessario per ammortizzare il costo.
C’è però anche più innovazione. In Giappone, dove la popolazione ha iniziato a diminuire ormai da anni e nel 2050 si prevede che i decessi saranno 1,7 milioni (400 mila in più che nel 2016) è sempre più comune il shukatsu, la pianificazione del proprio funerale. Negli USA la tendenza è a sottoscrivere da vivi dei contratti “pre-need”, pianificando e pagando in anticipo (c’è anche il bonus di dubbio gusto del servizio gratis nel caso in cui a decedere prima sia un figlio minorenne del cliente). Nel 2013 SCI comunicò agli analisti che sulla base dei contratti in essere prevedeva un portafoglio d’ordini già coperto per 7,5 miliardi. E anche Internet ha la sua parte: Passare è una start-up di San Francisco che ha raccolto 6 milioni di dollari per un portale che permette ai congiunti del defunto di organizzare il funerale, invitare parenti ed amici, pianificare i viaggi, fare donazioni, espletare le pratiche burocratiche e creare memoriali online. Nel Regno Unito, le webcam nei cimiteri permettono ai sudditi della Regina che vivono all’estero, così come ai parenti degli immigrati, di seguire a distanza le meste esequie.