La società è cambiata, le donne sono cambiate, e gli uomini – ancora molto spesso – lo devono imparare. Questo nuovo modello, però, va insegnato con dolcezza. Spetta alle donne formare gli uomini, prenderli per mano e condurli nel 2016. Così la pensa l’attrice Cristiana Capotondi, protagonista di Io ci sono, film tv che racconta la vicenda di Lucia Annibali, avvocatessa umbra sfregiata con l’acido in volto dal suo ex, Luca Varani, nel 2013, per vendetta. Una storia di violenza soffocante e assurda, nata nel contesto di un amore malato; ma anche una testimonianza di rivincita, di riscatto dalla sofferenza. Lucia Annibali è un esempio per tutti, non solo per le donne.
Come si interpreta un personaggio come Lucia Annibali?
Ho cominciato la mia preparazione facendole molte domande, parlando con lei. Volevo capire le motivazioni psicologiche profonde. Cosa la spingeva a vivere quella storia, a essere per due anni l’amante di un uomo che ha già un’altra donna? Volevo sapere cosa le facesse pensare di non essere all’altezza di un amore più limpido, più trasparente – che ogni persona merita. Le risposte, però, sono molto difficili.
Cosa l’ha convinta ad accettare questo ruolo?
Sono partita dall’idea che le donne devono essere più responsabili di ciò che le muove – e cioè credo che siamo dotate di una forza psichica grande, anche più di quella dell’uomo. Dobbiamo imparare a usarla per indirizzare le nostre energie verso qualcosa che ci sappia rendere felici. Comprendere questo non è semplice: le cose non appaganti sono un circolo vizioso, frustrano e assorbono la nostra esistenza. Bisogna saper riconoscere le situazioni e selezionare, saper selezionare le persone.
Non è facile nemmeno questo. Soprattutto in una società spesso considerata ingiusta nei confronti delle donne.
Non è ingiusta. La società è abituata a un modello diverso di donna. Deve assorbire e metabolizzare questa nuova figura.
«Occorre fare una cosa importante: liberarsi del complesso di superiorità femminile, che ci porta a pensare di essere migliori dell’uomo. È un errore e anche un peccato: perché ci si perde il piacere della complicità»
Molti uomini non lo accettano.
Sì, l’uomo rifugge questo cambiamento, spesso perché nato e cresciuto con un modello di femminilità arcaico, quello delle madri. Cerca di riprodurlo anche nella scelta della compagna. Ecco, penso che sia responsabilità della donna di investire nella strada giusta. Perché ciò che è accaduto a Lucia è un gesto folle, assurdo e compiuto da un uomo di sicuro tossicodipendente. Ma a anche quello che era già accaduto prima, che è più comune, è gravissimo: la seguiva, le entrava in casa, la perseguitava. Bisogna cercare di educare gli uomini e raccontar loro cosa è diventata la nuova donna.Questo tocca a tutti: alla scuola, ai media e al cinema.
Più che altro tocca a noi donne. Lo dobbiamo fare in maniera dolce e delicata, senza rabbia, soprattutto. Perché la rabbia è un retaggio di una lotta femminista del passato, che oggi non porta da nessuna parte. La donna del 2016 deve sapersi spiegare, riuscire a richiedere stima e rispetto, ma anche a darne. E poi occorre fare una cosa importante.Quale?
Liberarsi del complesso di superiorità femminile, che ci porta a pensare di essere migliori dell’uomo. È un errore e anche un peccato: perché ci si perde il piacere della complicità. Ci sono tante cose che si sfuggono dell’uomo, tanti modi di ragionare, di pensare, di vivere che non sono scontati.Ma le cose a volte non vanno bene. Come si può fare per evitare la violenza, gli abusi, le storie malate?
Non è facile. Ci vuole molta attenzione. Sapendo che le persone possono avere sempre reazioni inaspettate. Ma le parole sono due: attenzione e cura, cura di sé e dell’altro.In questo senso, che significato assume il personaggio di Lucia Annibali?
Lucia è simbolo di forza, che va al di là del fatto che sia una donna vittima della violenza. È importante: la sua battaglia di tenacia e di determinazione supera le differenze dei generi e vale per tutti. È un simbolo più largo, e vale davvero per tutti.