Aleppo, gennaio 2016
Mormorate a mezza bocca, guardandosi intorno per esser sicuri che nessuno senta. Rievocate tra mille raccomandazioni, che nessuno sappia che ti ho raccontato questo o quello. Sono le storie nere della riconquista di Aleppo, le faide, le vendette, i regolamenti di conti che hanno accompagnato la caduta dei quartieri Est e la ritirata dei ribelli e dei jihadisti. Non sono le storie diffuse da Al Jazeera e Al Arabiya, le emittenti del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti, due dei Paesi più coinvolti nel finanziamento dei gruppi islamisti e nel sostegno, anche propagandistico, alla loro causa, puntualmente ritrasmesse dai giornali europei come se provenissero da fonte super partes. Ma quelle che circolano nei quartieri, dove i nomi e fatti hanno sempre una faccia e una vita.
Ad Azziziya, per esempio, uno dei quartieri cristiani di Aleppo Ovest che per quattro anni si è ritrovato sulla linea del fuoco, ricordano tutti Ahmed, quello che girava con un carretto di frutta e verdura. Un simpatico caciarone, il commerciante che scherzava con tutte le donne che scendevano a fare un po’ di spesa senza dover andare al suq degli alimentari, più lontano, poi diventato uno dei capisaldi dei miliziani e ora ridotto in macerie. Un bel giorno Ahmed si è trasformato in un capetto degli islamisti. In particolare, comandava il posto di blocco che permetteva a un rivolo degli abitanti di Aleppo Est di recarsi all’Ovest. Erano i dipendenti pubblici, insegnanti e impiegati, che ricevevano ancora il salario dal Governo di Bashar al-Assad. Tenendo in ostaggio moglie, figli e parenti, gli islamisti permettevano loro di andare a ritirarlo, a patto che tornassero poi a Est.
Ecco, Ahmed gestiva quel traffico e per ogni persona che andava e veniva prendeva una bustarella. Di lui, adesso, non si sa più nulla. Saad, la persona che me ne parla, giura che Ahmed non era tra i miliziani evacuati verso Idlib. «Molti, nel quartiere, temono che sia riuscito a tornare di qua di nascosto», dice, «ma io so per certo che non è così. L’hanno ammazzato e poi hanno bruciato il corpo per renderlo irriconoscibile. Aveva fatto soffrire troppe persone».
Qui si è combattuto per quattro anni, e senza remore. Un tempo lunghissimo in cui odi e rancori sono cresciuti a dismisura e si sono radicati. Tutto questo, poi, da calare nella realtà del Medio Oriente, dove l’individuo non è la misura dei rapporti sociali, regolati invece dai gruppi
Pietà spesso è morta, da queste parti. Ma è difficile stupirsi, vedendo com’è ridotta Aleppo. Si è parlato tanto degli scontri dell’ultimo mese, dell’assedio, ma qui si è combattuto per quattro anni, e senza remore. Un tempo lunghissimo in cui odi e rancori sono cresciuti a dismisura e si sono radicati. Tutto questo, poi, da calare nella realtà del Medio Oriente, dove l’individuo non è la misura dei rapporti sociali, regolati invece dai gruppi: famiglie (sempre molto allargate, con decine di zii e cugini), clan, tribù, appartenenze religiose.
Prendiamo le famiglie. Il muro della guerra ha spesso diviso, tra Aleppo Est e Aleppo Ovest, i genitori dai figli, gli zii dai nipoti, i mariti dalle mogli. Quasi altrettanto spesso, la politica ha spezzato le relazioni: per esempio, padri con Assad, figli coi ribelli. Chi era, anche a torto, in odore di islamismo a Ovest ha vissuto tempi duri. Tempi ancor più duri, a sentire le testimonianze, ha vissuto chi era sospettato di “lealismo” all’Est. Il che, ovviamente, ha fatto spazio prima agli abusi, poi alle vendette.
Mi raccontano questa storia. Aleppo Est. Karim, un piccolo negoziante, scopre che il figlio Fadi ha deciso di “arruolarsi” in una formazione dei ribelli. Forse neanche tanto per convinzione ideologica, forse solo perché così può avere un salario, continuare a campare. Comunque sia, padre e figlio litigano, si insultano, Fadi se ne va pieno di rabbia. Qualche giorno dopo il padre Karim viene arrestato e messo a morte. Di Fadi ora si son perse le tracce. Potrebbe essere morto nella battaglia finale, o essere scappato a Idlib. C’è chi continua a cercarlo, però, nell’ipotesi che sia in qualche modo riuscito a infiltrarsi a Ovest. Non tanto la polizia di Assad quanto i parenti, che lo giudicano comunque responsabile della morte del padre.
Allo stesso modo, ci sono soldati dell’esercito regolare che hanno perso amici o parenti per mano dei jihadisti insediati ad Aleppo Est. Durante il viaggio in auto da Damasco ad Aleppo, abbiamo dato un passaggio a un tenente originario appunto di Aleppo, che tornava a casa in licenza dopo sei mesi. Il viaggio per lui aveva un solo scopo: andare a vedere che cosa restava della casa di famiglia, colpita da un missile dei ribelli e, come poi ho visto accompagnandolo, distrutta. Vicende come questa, o anche molto più drammatiche, sono assai comuni nella grande città del Nord della Siria. E certo non hanno invogliato i combattenti a usare il guanto di velluto.
Con il solito bisbiglio vengono riferite storie di esecuzioni sommarie di jihadisti intrappolati durante l’avanzata dell’esercito verso Est. Soprattutto quando erano stranieri, nell’ottica dei siriani mercenari arrivati a distruggere il loro Paese. Daoud, uno che c’era, racconta di quattro miliziani, due tunisini, uno egiziano e uno francese di origine siriana, infine catturati tra le rovine di una banca e messi a morte uno per uno con un colpo alla testa.
Karim, un piccolo negoziante, scopre che il figlio Fadi ha deciso di “arruolarsi” in una formazione dei ribelli. Qualche giorno dopo il padre Karim viene arrestato e messo a morte. Ora i parenti considerano Fadi responsabile della morte del padre, e lo cercano per ammazzarlo
Quello degli ex jihadisti dell’Est infiltrati a Ovest è l’incubo del Governo assadiano. Polizia ed esercito controllano ogni famiglia, casa per casa, le pattuglie verificano che chi ci abita abbia titoli di proprietà e tutte le altre carte in regola. Gli abusivi e quelli con documenti dubbi passano brutti momenti. Altra procedura che, ovviamente, si presta al regolamento di conti, soprattutto, a quanto dice la gente, quando c’è di mezzo la polizia. Un buon appartamento fa gola a molti, trovare qualche irregolarità non è difficile e si dice che certi funzionari si siano ora sistemati così.
Tutto questo, naturalmente, non riguarda solo Aleppo. I fatti più crudi, a quanto pare, sono avvenuti nei piccoli centri e nei villaggi della regione, dove i ribaltoni sono stati anche più radicali. Chi comandava è diventato da un giorno all’altro un paria disprezzato e perseguitato, per poi magari tornare a comandare anni dopo. Sono queste, assai più di quelle pure gravissime che hanno massacrato gli antichi mercati e i palazzi, le distruzioni profonde della guerra che da sei anni insanguina la Siria. Qui la ricostruzione sembra un’impresa ancor più necessaria ma tanto più disperata.