Cara Ylenia,
ciao. Noi non ci conosciamo e non ci conosceremo mai. E io non avrei neppure mai saputo della tua esistenza, se il tuo fidanzato, o ex-fidanzato, o non-si-sa-bene-cosa (ma ti capisco perché quelle fasi del cazzo in cui non sai se ci stai insieme oppure no le abbiamo vissute tutti, figurati) non avesse pensato di prendere della benzina, lanciartela addosso e darti fuoco. Portando così i vostri nomi alla ribalta della cronaca nera e il vostro “amore” a conoscenza di tutti.
Cara Ylenia, ci sono un sacco di cose che ti direi e te le direi a fatica, perché lo spezzone che ho visto dell’intervista che hai rilasciato alla migliore “trasmettitrice” italiana, Barbara D’Urso, l’intervista di cui tutti parlano, mi ha sinceramente provata. Nel senso letterale del termine: ha messo alla prova la mia capacità d’empatia, la mia tolleranza, il mio post-femminismo, che non so neppure esattamente bene cosa significhi, ma dico così per lasciar intendere che sono certamente femminista, ma non proprio femminista. Che lo sono inevitabilmente, lo sono culturalmente, lo sono senza averlo scelto, come forse tu non hai scelto di essere quella che sei, quella che sei apparsa sulle tv degli italiani una manciata di ore fa.
Vedi Ylenia, io ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia che mi ha educata all’auto-determinazione, al valore dell’indipendenza e al rispetto tra le persone. Sono figlia di una coppia paritetica, nella quale nulla se non il buon senso e l’affetto ha regolato le dinamiche familiari. Io sono una di quelle donne che verrebbero definite “emancipate” e conosco molto da vicino il prezzo di quell’emancipazione. Conosco molto da vicino le potenzialità e i limiti che nell’essere donna, e nell’essere femmina, ci sono. E anche io ho amato male, ho amato in maniera malata, ho amato nuocendo a me stessa e agli altri. Quale donna, del resto, non ha mai prestato il fianco al masochismo sentimentale? Chi di noi non è mai inciampato in una dinamica, più o meno patologica, di co-dipendenza amorosa? Chi non ha mai patito appresso a uno stronzo, mai nella vita? Nessuna, o giù di lì. Certo è che, però, c’è una differenza tra uno che ti lascia con due spunte blu senza risposta e uno che ti appicca il fuoco con la stessa disinvoltura con la quale accende la carbonella per arrostire la carne, questo lo capisci. Certo è che c’è differenza tra uno che ti mente, che ti tradisce, e uno che t’ammazza, no?
Tu non sei morta, per fortuna. Tu te la sei cavata relativamente bene. Non dico che saresti dovuta diventare d’ufficio una testimonial della lotta alla violenza sulle donne, ma neppure indurre chiunque a pensare che — ommioddio — allora forse è vero, allora forse certe donne se la cercano, allora forse sono sul serio delle cretine, che non capiscono, che non s’accorgono.
No, io non penso che tu te la sia cercata, né penso che tu meritassi l’orrore che hai subito, ovviamente. Né, in alcun modo, mai, includo la violenza nel regno dell’accettabile. Penso però che tu sia una cretina, questo sì. Una vittima, ma anche una cretina. Uno non s’aspetterebbe che esistano vittime cretine, vittime che neppure comprendono la brutalità di cui sono state oggetto, ma da oggi lo so: esistete anche voi.
Vorrei essere migliore, vorrei provare più compassione e più pietà. Vorrei capirti, immedesimarmi nello shock, nella tua reazione, nella tua negazione. E non ci riesco. Un po’ per un mio limite, un po’ per il modo in cui hai trattato tua madre, in diretta nazionale, in quel contenitore ignobile che è Pomeriggio Cinque, davanti a tutti. Un po’ perché penso che in qualunque amore sbagliato (e come t’ho già detto, sorella, chi non ha mai avuto il colera al cuore? Chi non hai mai amato ottusamente, pensando di non poterne guarire mai?), anche quelli più radicali, anche quelli più tossici, arriva un momento, deve arrivare, in cui t’accorgi. In cui vedi la realtà. In cui lo capisci che quello non è amore, che è dipendenza, sopraffazione, violenza. Un momento in cui devi essere tu a volere almeno un po’ di bene a te stessa. Invece no. Tu, che a differenza di molte altre, che non hanno fatto in tempo e non sono riuscite a salvarsi, tu che sei sopravvissuta, urli sguaiatamente che difenderai il tuo carnefice fino alla morte. Ma cos’è? Ma cosa ci tocca vedere, ma cosa ci tocca sentire, questa raccapricciante versione messinese di una sceneggiata parteno-shakesperiana. Ma lo sai cos’è la morte, Ylenia? O meglio, cos’è la vita, da trattarla con tanta sufficienza?
Cara Ylenia, perdonami se sono così sincera, se non me la prendo con Barbara D’Urso (che vabbé, è da anni uno dei volti incommentabili della televisione italiana) e oso rivolgermi direttamente a te. Perdonami anche se non mi preoccupo di urtare la tua suscettibilità, in un momento in cui è ovvio che tu sia terribilmente scossa e non nel pieno possesso delle tue facoltà mentali ed emotive. Perdonami e lascia che ti dia un consiglio non richiesto, che s’aggiunge a quelli che più illustri Signori Nessuno ti hanno già dato (e cioè di affidarti alle cure di un pool di psicologi, suggerimento che naturalmente sottoscrivo).
Il consiglio che ti do è di andare da tua madre, adesso, e chiederle scusa per il modo ripugnante in cui l’hai trattata. Poi ti consiglio di provare a parlarci, capendo che quella lì è dalla parte tua. Che quella cosa che si dice, che il bene che ti vuole una madre non te lo vuole nessuno, in alcuni casi è vera. E probabilmente lo è anche nel tuo.
Il consiglio che ti do è di andare da tua madre e chiederle scusa per averle abbaiato contro, accusandola di non aver mai potuto vedere il tuo fidanzato. Dico: ce la fai? Non so, vogliamo anche darle torto?
Cara Ylenia, forse il motivo per cui tua madre non poteva vedere quel soggetto che ti ha dato fuoco, e per quanto tu possa continuare a dire che non è così, c’è un video, dove riempie una bottiglia di benzina prima di venire da te, pertanto inizia a rendertene conto, altrimenti hanno ragione quelli che ti trattano come un’interdetta incapace di intendere e volere, ebbene il motivo per cui tua madre non poteva vederlo, il tuo ragazzo, e che è probabilmente più sveglia di te, e aveva capito assai prima con che razza di carogna tu avessi a che fare. E se tu, invece di essere così stupidamente arrogante, avessi avuto l’umiltà d’ascoltarla, tua madre, di capire che non è tua antagonista ma tua alleata, forse ti saresti risparmiata una bella esperienza di merda che ti ricorderai per tutta la vita. Che ti farà essere per sempre quella che “Alessio ci ha dato fuoco”.
Certo, non avresti avuto i tuoi cinque minuti di celebrità su Canale 5, ma non avresti neppure rischiato di morire. Tu dirai che è facile con il senno di poi. Hai ragione. Ormai le cose sono andate così. Ma prima o poi ti auguro di vedere i fatti, per quanto terribili siano, perché è sempre un dolore feroce quello che provi quando t’accorgi che chi pensavi t’amasse, non ti ama affatto. E ti consiglio di avere tua madre accanto, in quel momento. Perché non sarà facile accettare la realtà. E avrai bisogno di tutto il suo aiuto e di tutto il suo amore, perché l’amore è una cosa sana, sai? È di chi si prende cura di te, e lascia che tu ti prenda cura di lui. Non di chi cerca d’accopparti dopo una serata in discoteca. Prova a ignorare le minchiate che dice la D’Urso, che è il “troppo amore”. Ho capito che tu la consideri una guru, “la migliore di tutti”, ma sappi che ha detto una cagata colossale, una menzogna, fidati.
Tua madre avrebbe voluto vederti con un libero professionista accanto? Certo, una colpa capitale. È noto che tutte le madri auspicano di vedere le proprie figlie accasate con un avanzo di galera, no? Dai Ylè, si sa come sono le madri, si augurano il meglio per la propria prole, spesso eccedendo in ottimismo e intraprendendo voli arditi di fantasia, ma questa non è una colpa in senso stretto, questo dipende dal fatto che ci amano a volte anche in maniera irragionevole, e che in noi vedono sempre il meglio che c’è. La conosci “Ogni Scarrafone” di Pino Daniele, no? Tua madre sognava una vita e un compagno migliori per te. E allora? Aggrediamola, per questo, quella stronza. Dai, dimmi tu se non è da cretina comportarsi così.
Fanne ciò che vuoi di questo consiglio. So che quasi sicuramente non lo seguirai e ciò mi spiace, non per il tempo che ho perso a scriverlo, ma perché finché noi donne non impareremo a rispettarci tra noi, a rispettare noi stesse in prima istanza, e le nostre madri, le nostre sorelle, le nostre amiche e persino le nostre nemiche; finché non capiremo cosa sia la solidarietà femminile, che non è non-rubarsi-il-fidanzato e prestarsi gli smalti, bensì condividere le difficoltà, supportarsi per superarle, mettere la forza dell’una al servizio dell’altra, e l’esperienza di ciascuna a disposizione di tutte; finché ci sarà ombra di dubbio che la nostra vita e la nostra libertà valgano più della reputazione di un uomo, chiunque egli sia, ebbene sarà difficile che gli uomini peggiori sappiano trattarci nel modo migliore. Finché non avremo il coraggio di dircelo, che siamo delle cretine, quando necessario, a costo di suonare odiose, ma dicendo la verità nella speranza di sortire una reazione, un risveglio dall’allucinazione che confonde l’amore con la violenza, ebbene fino ad allora possiamo pure organizzare manifestazioni, petizioni, sit-in, corsi di educazione, girare documentari, scrivere articoli bellissimi, e alla fine basterà un’Ylenia a dimostrare che non è ancora abbastanza.
Che non è mai abbastanza. Che qua non ci sono solo gli uomini da educare e sensibilizzare. Che paradossalmente bisogna partire dalle donne.
Sappi in ultimo che mi affatica molto scriverti queste parole. Avrei preferito pubblicare uno di quegli articoli divertenti e lapidari, quelli che io sorrido quando li scrivo e la gente sorride quando li legge. Invece dell’ennesimo pippone sulla violenza sulle donne. Che pubblico, con animo amaro e senso di sconfitta profondo.
Perché in te, nella parole elargite in difesa del tuo carnefice, ci perdi tu.
E ci perdiamo un pochino tutte noi.