Sapevano maneggiare le spade, combattevano, non si tiravano indietro di fronte alla lotta. Erano le samurai, o meglio, le onna-bugeisha, un tipo di soldatessa della nobiltà giapponese di una volta. Accadeva durante il periodo feudale, e loro erano membri della classe bushi (quella dei combattenti), addestrate all’utilizzo delle armi per proteggere la casa e la famiglia, e soprattutto l’onore, quando mancavano gli uomini: cioè, durante le guerre.
Poco si sa di queste donne-guerriere giapponesi, anche se nella tradizione si sono conservati nomi (ad esempio Tomoe Gozen, Nakano Takeko, Hojo Masako) e storie leggendarie. Così leggendarie, appunto, da non essere proprio comprovate. Tomoe Gozen, per esempio, sarebbe vissuta nel XII secolo e si sarebbe distinta durante la Guerra del Genpei, combattuta tra il clan dei Taira e quello dei Minamoto. Tomoe stava con questi ultimi, in quanto servitrice di Minamoto Yoshinaka. Durante la Battaglia di Awazu, il 21 febbraio del 1184, si distinse per un atto di grande coraggio: corse contro le forze nemiche, si lanciò contro il guerriero più forte, lo disarcionò, lo colpì con la lancia e lo decapitò.
Secondo le cronache, oltre che valorosa ed esperta con l’arco, era anche “bellissima, con pelle bianca e capelli lunghi – e tratti affascinanti”. Una donna e una guerriera perfetta. Certo, non c’è nulla che dimostri che questi racconti siano veri, ma tutto sommato conta poco: Tomoe Gozen e la sua leggenda hanno influito a lungo nella tradizione, sia culturale che militare, del Giappone.
Nei secoli sono esistite numerose donne-samurai. Per tradizione, la loro arma specifica non era la katana (troppo pesante) ma la naginata, una specie di asta molto lunga con una lama ricurva in cima. Era perfetta per i combattimenti con i guerrieri uomini, che non potevano avvantaggiarsi, in questo modo, della loro predominanza fisica.