Tutti lo conoscono come un grandissimo poeta. Non tutti sanno che Arthur Rimbaud fu anche un trafficante di armi e di caffè. Infine, era anche un fotografo. Non proprio all’altezza della sua abilità poetica, senza dubbio. Non sarebbe certo entrato nella scuderia della Magnum. Ma è comunque riuscito a lasciare, dietro di sé, alcuni scatti interessanti. E sì, anche dei proto-selfie.
Come scrive Lucille Pennel su The Eye of Photography, “già nel 1882 Rimbaud rimase conquistato da questa nuova tecnologia. Ordinò una macchina fotografica a Lione per illustrare un libro su “Harar e la campagna di Gallas” [moderna Etiopia], e gli arrivò solo nel 1883”. Il libro poi non lo fece più ma le fotografie le scattò lo stesso. Non ne sono rimaste tante. Alcune sono conservate alla Bibliothèque Nationale de France, le altre al Museo Arthur Rimbaud di Charleville-Mézières.
Non è chiaro quanto a lungo l’ex-poeta rimase colpito dal nuovo mezzo. A spingerlo c’era anche una motivazione commerciale: “Qui tutti vogliono essere fotografati”, scrisse in una lettera, riferendosi alla popolazione etiope, dove risiedeva e faceva commerci. “Addirittura, offrono una ghinea per fotografia”. Un prezzo molto alto per un gioco nuovissimo.
In generale, non ci sono altre dimostrazioni di un interesse prolungato di Rimbaud per la fotografia. Le ipotesi sono svariate: o le sue immagini sono andate perdute oppure, alla lunga, si è stancato. Cosa avrebbe poi determinato la sua disaffezione non si sa. Forse, fu solo la malattia.