Partiamo da un presupposto, stiamo parlando di zombie. Di non vita. Di gente che si muove scomposta, lo sguardo spento, cercando esseri umani da sbranare, per poter continuare a muoversi scomposti, lo sguardo spento, etc etc.
Questo lo scenario.
Questo lo scenario da un po’ di tempo a questa parte.
Ma come le tante serie tv, film, libri che parlano di zombie ci hanno insegnato, anche nel mondo dei non vivi esistono sfumature. Da George Romero a oggi ne abbiamo viste di tutti i colori.
Bene, lo scenario dei non vivi oggi ci appare assai chiaro, e non è un bello spettacolo.
Chiaro che partire da zombie per parlare di Sanremo potrebbe suonare di per sé sinistro, ma in discografia (è di questo che stiamo parlando) Sanremo rimane un appuntamento importante, prova provata che di non vita si tratta.
Il punto è che questo Festival ha evidenziato una situazione che a ben vedere già si intuiva da tempo, di umani ce ne sono rimasti pochi, e sono disposti a vendere cara la pelle, anche se con ogni buona probabilità alla fine perderanno.
Cosa è successo?
Niente, e questo è già un segno della fine imminente.
Ma questo niente ci dice alcune cose, brutte, specie se sei un discografico.
Primo risultato, evidente, neanche la metà di quanti hanno partecipato al Festival aveva un album pronto, a partire da chi ha vinto, Francesco Gabbani.
Per il resto alcuni repackeging e qualcosa di nuovo, ovviamente non piazzato bene in classifica, nella quasi totalità dei casi.
Neanche la metà di quanti hanno partecipato al Festival aveva un album pronto, a partire da chi ha vinto, Francesco Gabbani.
Per il resto alcuni repackeging e qualcosa di nuovo, ovviamente non piazzato bene in classifica, nella quasi totalità dei casiMa andiamo con ordine.
Nei fatti, questo che doveva essere l’anno della Sony, a Sanremo con undici artisti su trenta in gara, tra big e giovani, per la major è stato un bagno di sangue. Su tutti i punti di vista. Guardi i primi cinque posti e non ne trovi neanche uno loro. C’è la Mannoia al secondo posto, è vero, ma a parte aver perso un Festival che aveva in tasca da mesi, per di più contro la canzone dello scimmione, va anche detto che la Mannoia è distributiva Sony, non artista Sony. Non basta. Al quarto posto, sorprendentemente, Michele Bravi, il giovane ex vincitore di X Factor ora in forza alla Universal International (International, badate bene).
La storia di Bravi ormai la sapete tutti, perché la sta ripetendo ossessivamente da giorni, avendo per altro abbondantemente rotto il cazzo. Lui ha vinto X Factor anni fa, la Sony gli ha tirato fuori un album che è andato male, nonostante firme importanti dentro, su tutte Tiziano Ferro. Poi un discografico, tutti noi addetti ai lavori sappiamo chi, gli dice: “Sei morto”, certificandogli, a diciannove anni, ma prematura fine della sua carriera.Ora, a prescindere dall’aver confuso morti e zombie, il concetto era chiaro. Solo che lui, Bravi, si è reinventato come Youtuber e uscito dalla finestra è rientrato dalla porta. Chiaro, aver fatto coming out una settimana prima del Festival ha aiutato, parecchio. Aver passato il Festival a piagnucolare pure. Aver portato una orribile canzone alla Mengoni anche. Nei fatti Bravi è arrivato quarto, sopra tutti gli artisti Sony e sopra tutti quelli arrivati da X Factor, quelli sì morti.
Nei fatti, questo che doveva essere l’anno della Sony, a Sanremo con undici artisti su trenta in gara, tra big e giovani, per la major è stato un bagno di sangue
Perché questo Sanremo certifica un fatto, già noto, X Factor è morto anni fa. Forse non è neanche mai nato. Guardiamo alle ultime edizioni, che fine hanno fatto i vincitori? E i vinti? Niente, morti tutti, per dirla col discografico Sony. A Sanremo non c’era Gio Sada, impegnato a doppiare un cane in un cartoon per bambini. C’erano, come ospiti di Sergio, altro artista Sony vincitore di Amici, i Soul System, che per altro hanno rimediato una clamorosa figura di merda andando fuori tempo su un brano dal titolo Vorrei la pelle nera, cover di Ferrer che proprio sulla capacità tutta propria dei neri di avere il ritmo nel sangue giocava.
C’era invece Chiara Galiazzo, che dopo i successi negli spot della Tim non ha azzeccato un brano manco per sbaglio. Ecco, lei è la prova provata che X Factor non è mai nato. In Sony insistono, si accaniscono, ma lei niente, non c’è. Quest’anno hanno provato a rivitalizzarla con la cura “Arisa”, cioè l’hanno affidata come successe ai tempi de La notte a Arisa, a Mauro Pagani. Però il miracolo non è avvenuto. Succede anche a Pagani. Non se ne sono accorti solo i due critici di Repubblica, i Gianni e Pinotto della critica musicale, quelli che hanno passato tutte le puntate di X Factor a seguire su Twitter la gara, facendo la diretta social. Roba che uno poi dovrebbe andare in giro con un sacchetto di carta in testa per la vergogna, marchetta delle marchette, e invece loro niente, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Il fatto che uno sia il fidanzato della giovane ufficio stampa di Chiara potrebbe spiegare la cosa, non bastasse che il Gruppo L’Espresso è media partner di X Factor e che non ci sono più gli uomini liberi di una volta. Per loro Chiara è brava, ma l’impressione è quella dei dipendenti dell’azienda di Fantozzi che la mattina si inchinavano di fronte alla statua della madre del Direttore Naturale Combran. Mai una gioia.
Perché questo Sanremo certifica un fatto, già noto, X Factor è morto anni fa. Forse non è neanche mai nato. Guardiamo alle ultime edizioni, che fine hanno fatto i vincitori? E i vinti? Niente, morti tutti, per dirla col discografico Sony
Altri artisti X Factor niente, morti e sepolti. Idem per gli artisti Sony. Una ecatombe. Non che altrove stiano meglio, eh. Vogliamo parlare di Universal?
Non fatevi ingannare da qualche bella critica portata a casa da Elodie, per dire, o dallo stesso Sergio, loro di casa Amici. Se a scriverle sono quei critici in casa WittyTv la situazione è chiara, sono a busta paga di chi produce anche il talent della De Filippi, provaci tu a parlare male del padrone. A tal proposito, come si diceva mesi e mesi fa, appare chiaro che Mediaset è diventata avida. Ora oltre le tv ha le radio, quelle comprate al gruppo Fineco, e si dice stiamo facendo colloqui a discografici di lungo corso per mettere in piedi qualcosa di simile a quanto fatto in passato da Ultrasuoni. Vedere Rete 105 come media partner di F&P per il tour (tour, dai, siamo seri) di Elodie ci dice qualcosa.
Del resto, di cosa stiamo parlando? Di album venduti? Niente, o poco più di niente. La Mannoia, la più alta piazzata dopo il Festival, si è portata a casa circa quattromila copie nella prima settimana. Gabbani ne ha perse sicuramente di più non essendo sul mercato, e a ridere è solo la Mescal di Valerio Soave che ha piazzato Ermal Meta finalmente tra i Big.
Sarebbe bello, ora, che si dicesse una volta per tutte che i talent non servono a nulla. Che la vittoria di Gabbani, un trentaquattrenne arrivato da tutt’altra strada, lo dimostra. Sarebbe bello leggere un po’ di ammissioni di colpa da parte degli addetti ai lavori: non ci abbiamo capito un cazzo.
Perché Gabbani si è fatto da solo.
Ermal Meta idem.
Michele Bravi è risorto grazie alla rete e a una sapiente campagna di marketing e Paola Turci, che a parere di chi scrive è stata la migliore della covata sanremese, è riuscita a tirare fuori un album solo perché è passata di lì, se no bye bye (infatti anche lei non è ancora uscita).
La discografia è morta.
I talent che la hanno uccisa sono morti.
Noi arrotoliamo filo spinato intorno alle mazze da baseball, come Negan e la sua Lucille. Non ci avrete, maledetti zombie, venderemo cara la pelle, bastardi.