Aggressività web: se non sei attento anche tu puoi diventare un troll

Sui social le discussioni sono sempre più violente e aggressive. Personcine amabili e simpatiche, chissà perché, si trasformano in incredibili Hulk digitali. Le ragioni sono tante ma, come dimostra uno studio, può succedere a tutti. Anche a te

Una volta la gente sui social si voleva bene. Ci si metteva tanti like, ci si faceva qualche poke, si cercavano i vecchi amici – nei casi più perversi gli/le ex – si commentavano le storie che succedevano ogni giorno a ciascuno dei membri del social. Era un modo per condividere qualche momento di vita, in serenità (purtroppo, anche i piatti di cibo).

Poi i social hanno cominciato a diventare qualcos’altro. Le discussioni tra amici hanno cominciato a toccare sempre di più temi caldi come la politica, l’ideologia, l’attualità in generale, cioè tutti gli argomenti che, come insegna il buon senso, vanno evitati nei pranzi di Natale. Ed è successo il disastro: sono arrivati i troll.

Attenzione, però, perché i troll non sbucano dal nulla. Non sono (solo) personaggi alieni sbarcati sulla rete dopo anni di frustrazione passati nelle loro camere da letto. La verità è che, come dimostra questo studio, in determinate condizioni qualsiasi utente, anche il più ordinario e sobrio, può diventare un troll. Come è possibile? Si può, si può.

Le condizioni essenziali, spiega la ricerca, dipendono (ma va?) dall’umore dell’utente e dal contesto. Se chi va su Facebook non è contento, è molto più probabile che cominci a lasciare commenti provocatori sulle bacheche altrui. Il cattivo umore può essere provocato da una maggiore o minore soddisfazione della propria vita, ad esempio, e provoca un minor controllo delle proprie reazioni e, soprattutto, porta ad avere un’impressione peggiore delle altre persone. È evidente, per esempio, che quando si torna dalle vacanze si è meno inclini a fare i troll.

Anche l’esposizione a comportamenti non collegati, ma comunque fastidiosi, può portare ad assumere un atteggiamento più aggressivo sui social. Il capo si arrabbia? E il sottoposto si sfoga in rete. Il collega appoggia i piedi sul tavolo? E ce la si prende con il contatto Facebook che posta foto di gattini. La particolarità, però, è che la rabbia non acceca l’utente: anzi, è dimostrato che il cattivo umore provoca una maggiore attenzione per il dettaglio e innalza le sottigliezze logiche. Insomma, chi è arrabbiato diventa, in teoria, un commentatore più prezioso. Il problema è che sarà antisociale e aggressivo.

A questo si aggiunge, come si diceva sopra, il contesto. Una discussione su un social network (ad esempio Facebook) può prendere una piega costruttiva (quasi mai) o una piega distruttiva (molto spesso), ma non per caso. Secondo la ricerca, “i post meno ponderati portano a risposte meno ponderate, e viceversa: post più attenti e approfonditi portano a discussioni più controllate”, dicono gli studiosi. È il tono iniziale del post, quello che dà il “la” alla discussione, che fissa anche la soglia di rispettabilità, per capirsi. Se si comincia con un insulto al Partito Democratico, per fare un esempio, è velleitario aspettarsi analisi e commenti meditati poco sotto.

Insomma, come conclude lo studio (sulla base di alcuni esperimenti), esistono delle condizioni che rendono più facile la trasformazione di un simpatico utente medio in un troll. L’umore, come si è detto – che varia a seconda della giornata e, spesso, anche a seconda dei giorni della settimana: durante il giorno si è più allegri, per cui è più probabile non finire coinvolti in discussioni e flame war nate sui social. La sera e al mattino preso, invece, il cattivo umore può avere la meglio: secondo la statistica, è proprio in queste fasce orarie che i commenti negativi sono più numerosi.

E poi il contesto: se ci si imbatte in una discussione già molto calda, in cui – capita spesso – si sono espressi diversi troll, è molto facile perdere il controllo e reagire male. Quando si comincia, la rabbia comincia a uscire e si alimenta da sola. Ogni discussione sui social si concluderà sempre con una frustrazione di fondo: nessuno convincerà mai l’avversario (al massimo lo ridurrà alla fuga), nessuno ne uscirà davvero vincente (anche perché, se vince Trump o vince la Clinton, appena si spegne il computer, poco cambia nella vita di ogni giorno), e l’arrabbiatura rimarrà costante, sotterranea, ma sempre presente. E pronta a riprovare, sempre più spesso, a cercare sfogo in rete. E così, tra frustrazioni quotidiane e brutti incontri in rete, ecco che un dolce David Bruce Banner qualsiasi può trasformarsi in un Hulk digitale.