Apple, gli eroi anti-Trump che non pagano le tasse

Il termine per il pagamento dei 130 miliardi dovuti all’Irlanda è scaduto il 3 gennaio, ma i soldi non sono arrivati. Vista la cifra enorme, è allo studio un sistema di pagamento efficace: ma intanto fioccano i ricorsi

Commovente, la Apple. Anche lei, come azienda, alza la voce di fronte al barbaro bando ai rifugiati deciso dal presidente Usa Donald Trump. Quando è troppo, è troppo. E chissà perché, però, quando si tratta di scucire soldi al governo irlandese per le tasse mai pagate, be’, non parlano più.

Anzi: non fanno proprio nulla, tanto che il limite per il versamento dei 13 miliardi di euro dovuti a Dublino era il tre gennaio, ma i soldi non li ha visti nessuno. Tutti zitti, tanto l’importante è parlar male di Trump.

La questione, in realtà, è un po’ più complessa. La Apple è stata costretta al pagamento da parte della Commissione Europea, contro la volontà della stessa Irlanda (che preferisce mantenere regimi di tassazione molto bassi per favorire i rapporti con le grandi aziende) e, come è ovvio, della stessa Apple. Il pagamento è “difficoltoso”, come riconosce la stessa Margrethe Vestager, commissario europeo per la concorrenza, “perché la somma è molto grossa e bisogna inventarsi un sistema di pagamento”, non è un conto deposito, insomma.

Ma gli ostacoli, forse, si potranno rivelare insormontabili: i due soggetti, cioè Apple e Irlanda, hanno già presentato ricorso. Tim Cook ritiene che la decisione non abbia “alcun fondamento giuridico”, mentre gli irlandesi contestano l’intervento della Commissione, che considerano “un’intrusione” in questioni “che sono, in realtà, di competenza dei Paesi sovrani”. Insomma, ci sono soldi che non girano, e tasse che non si pagano a danno dei contribuenti europei. Ma l’importante è che vadano contro Trump.

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