Ora che ci sono le date congressuali, e il nome degli scissionisti, e il quadro delle forze – a destra, a sinistra e al centro – è finalmente chiaro, le elezioni prossime venture cominciano ad assumere un’immagine concreta. Una corsa a due – Pd e M5S – per la conquista del premio di maggioranza o almeno del primato in classifica, quello che orienterà il presidente Mattarella nella scelta del presidente del Consiglio incaricato. Il tema del “sorpasso” è già centrale da settimane: ogni sondaggio è imperniato su questo. Sarà il tormentone che ci accompagnerà per i prossimi mesi, e per gli italiani di una certa età sarà impossibile non ritrovarci l’eco di un’antica tornata elettorale: quella del 1976, quando le sorti del Paese erano appese al possibile, storico sorpasso della Dc da parte del Pci che allora – negli schemi della guerra fredda – appariva un tuffo nel buio totalizzante e terrorizzante.
È nella ripetizione di quello schema che, probabilmente, confida Matteo Renzi. Gli appelli “montanelliani” dell’ultimo minuto a turarsi il naso, a votare lui per fermare i barbari alle porte. La paura dell’ingovernabilità e della rottura delle alleanze internazionali per spingere la borghesia alle urne. L’idea dell’ultima spiaggia, che peraltro è una caratteristica costante delle sfide di Renzi, tutte giocate sul messaggio “o me o il diluvio”. Nel ’76 il grande spavento era individuato nella possibile rottura della partnership atlantica, oggi è nel dissolversi dei patti con l’Europa. Allora il sottofondo minaccioso era il rumore delle mitragliette brigatiste – solo 10 giorni prima del voto ammazzarono il Pg Francesco Coco, e i capi storici ne rivendicarono l’omicidio dalle carceri – oggi è l’emergenza immigrazione e il terrorismo internazionale. C’erano gli scandali, colossali (dice niente la Lockheed?). C’era una situazione economica molto precaria, anche se di segno opposto all’attuale: l’inflazione galoppava, gli spicci non valevano più niente e non venivano neppure coniati, tantoché le banche si misero a battere moneta per conto loro con i famosi miniassegni.
Insomma, c’è il contesto. C’è lo schema politico: due forze principali, di cui una fuori dal recinto del “sistema”. C’è la legge elettorale ad hoc: il proporzionale, che consente larghi margini di manovra in tema di alleanze, ma solo “dopo” essersi aggiudicati il primo posto. E in questa nuova modalità di gioco, che in realtà è molto antica ma è stata dimenticata, rimossa, da un ventennio di maggioritario, le vicende di questi giorni – la scissione, la consistenza delle tre o quattro forze di sinistra, la lite tra di loro – avranno un’importanza secondaria. La campagna elettorale del sorpasso si mangerà tutti i temi collaterali, compreso il laborioso programma che Matteo Renzi sta mettendo a punto in vista del suo Lingotto, e alla fine resterà soltanto una domanda: davvero volete rischiare che governino “loro”?
La campagna elettorale del sorpasso si mangerà tutti i temi collaterali, compreso il laborioso programma che Matteo Renzi sta mettendo a punto in vista del suo Lingotto, e alla fine resterà soltanto una domanda: davvero volete rischiare che governino “loro”?
Nel ’76 la drammatica campagna elettorale imperniata su quell’unico interrogativo funzionò molto bene per il partito di governo. Il Pci raggiunse un risultato straordinario: 34,4 per cento, 12,6 milioni di voti, 228 deputati, con un incremento del 7 per cento. Ma non bastarono. La Dc, facendo perno sul “pericolo rosso”, drenò voti al Msi (che perse il 2 per cento ed ebbe uno dei suoi risultati peggiori) e spiluccando qua e là arrivò a quota 14 milioni. Sorpasso mancato, fine della storia.
E’ immaginabile che Matteo Renzi confidi sulla ripetizione di questa sfida, e che l’oggettiva noncuranza con cui si è lasciato alle spalle gli scissionisti non sia che l’eco di una convinzione: confermare il suo posizionamento “al centro” è il solo modo di vincere con relativa sicurezza. Perché, obiettivamente, anche i più ostili, i più antipatizzanti, i più critici, davanti alla scelta tra lui e Luigi Di Maio, alla fine si tureranno il naso. Esattamente come i missini di quarant’anni fa, che arrivarono al punto di votare la Dc di Benigno Zaccagnini pur di scongiurare l’arrivo dei cosacchi.