Elogio dell’assenzio, prima vittima delle fake news

Una volta i parigini amavano ritrovarsi a bere il liquore verde e discutere di arte e politica. Poi sono arrivati a boicottarli i parrucconi e i produttori di vino, diffondendo notizie false e tendenziose e mettendo al bando la bevanda, distruggendo un’epoca

Erano belli i tempi in cui, come aperitivo, non c’erano né lo spritz né il negroni. I veri intenditori bevevano l’assenzio, ed erano felici. Era la Parigi della seconda metà dell’800, quando tra poeti e artisti bohémien le serate si facevano calde, le notti giovani e le bevute copiose. Bei tempi, come li ricordava il poeta Raoul Ponchon: “Quand mon verre est vide / Je le plains. / Quand mon verre est plain, / Je le vide”. Un bel gioco di parole per indicare un’altrettanto bella abitudine.

Era l’heure verte, l’ora verde, ben altra cosa rispetto all’happy hour, in cui l’ora è felice. Il fatto è che sono la stessa cosa, solo che all’ecpoa ci si divertiva di più. Alle cinque in punto, mentre nella grigia Londra ci si scaldava il tè, nelle vie di Parigi si brindava con alcolici potenti e si andava verso una decadenza felice.

Ma come tutte le cose buone, anche l’ora verde era destinata a finire. Un movimento di reazione, capeggiato da medici salutisti e produttori di vino, cominciò a demonizzare la bevanda. Bevi l’assenzio? Avrai attacchi convulsivi accompagnati da allucinazioni. Pian piano si cominciò a incolparlo di tutto: omicidi, atti di follia, morti e svenimenti. Gli Stati Uniti lo bandirono nel 1912, cosa già avvenuta in Svizzera, in Belgio e perfino in Brasile. Anche i francesi si arresero, nel 1914. E tolto l’assenzio, prese piede il pastis.

Il tutto a causa di una maledetta fake news d’antan: l’assenzio, dicevano gli espertoni, provoca allucinazioni. Era falso, era un’esagerazione, ma tutti ci hanno creduto. E non era necessario che arrivasse internet perché diventasse un alt fact.

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