Il football è una questione di centimetri, almeno secondo Al Pacino in Ogni Maledetta Domenica. Ma è anche e soprattutto una questione di milioni di dollari. In vista del Super Bowl, che come ogni anno assegna l’anello di campione del mondo del football della Nfl, la lega statunitense della palla ovale, ci ritroviamo ancora una volta a fare i conti in tasca a un movimento che ogni anno macina sacchi su sacchi con su il simbolo del dollaro. E a ritrovarci allibiti di fronte a certe cifre, interrogandoci su come facciano. Ma in un periodo storico come questo, cove anche noi vecchi europeo abbiamo scoperto che si può unire il business allo sport, forse è il caso di farci un’altra domanda: cosa può insegnare il mondo del football inteso a stelle e strisce al football inventato dagli inglesi e oggi alle prese con una crescita globale senza precedenti?
Certo, a vederla da fuori la cosa sembra difficile. Negli Usa la palla e ovale e la prendono soprattutto con le mani, anche se i piedi in certi casi fanno la differenza. In Europa ci sono sì calciatori con il fisico bello scolpito, ma se ti scontri con Cristiano Ronaldo ti fai male e lui si spettina; se ti scontri con Bryant Mc Kinnie, che pesa 161 chili, devi sperare che le tue protezioni siano state testate alla perfezione.
Eppure tra il loro football e il nostro esiste un punto di collegamento: il nuovo stadio del Tottenham, che sarà pronto per la stagione 2018/19, ospiterà alcune gare della Nfl. E Non è la prima volta che il football a stelle e strisce sbarca in Inghilterra. Il nuovo stadio di Wembley ha già ospitato 11 partite Nfl nell’ambito delle International Series, con più di tre in programma nel 2015. Lo sport si sta dimostrando molto popolare in Gran Bretagna, con 10 gare che hanno registrato 80mila spettatori. Le ultime tre gare, quelle giocate nelle Series del 2014, hanno generato ricavi da 32 milioni di dollari solo nella vendita dei biglietti. Per la gara tra Jacksonville Jaguars e Dallas Cowboys, Wembley ha registrato 83mila spettatori, per un incasso di 10,6 milioni di dollari.
Ed è su questa base che si può lavorare, per avere un’industria europea del business sportivo in grado di competere con le grandi leghe sportive a stelle e strisce. Al momento, il calcio d’Europa incassa meno del top dello sport Usa. Ed è, per dire, uno studio sul nostro calcio a certificarlo. Secondo l’ultimo Report Calcio, stilato ogni anno dalla nostra Figc, le 122 franchigie statunitensi che compongono Nfl, Nba, Mlb e Nhl (dunque football, basket, baseball e hockey) hanno registrato introiti per 19,7 miliardi di euro, contro i 15 miliardi dei 716 club della 54 Leghe calcistiche del Vecchio continente e i 13,2 miliardi dei 122 top club europei per fatturato. A comandare c’è appunto il football, che ha un giro d’affari che arriva a quota 7,8 miliardi. La maggior parte dei ricavi – parliamo di 4,6 miliardi – proviene dai diritti media (ovvero il 59% del totale ), 1,7 miliardi derivano dagli stadi (23%) e 1,4 da attività commerciali e sponsorizzazioni (18%). L’unica lega calcistica a tenere il passo è la Premier League, che ha totalizzato 3,9 miliardi di fatturato, di cui nel dettaglio 2 miliardi dai diritti tv (ovvero il 53% della torta totale), 1,1 miliardi derivanti da sponsorship e attività commerciale (29%) e 685 milioni provenienti dagli stadi (18% del totale). La Serie A, per dire, ha fatturato 1,7 miliardi di euro, con una più marcata dipendenza dai diritti tv, visto che il totale oltrepassa il 60% del totale. Infine, la Bundesliga ha fatturato 2,2 miliardi e la Liga spagnola 1,9 miliardi. Dunque solo sommando il top del calcio europeo si può superare il football statunitense.
Al momento, il calcio d’Europa incassa meno del top dello sport Usa. Ed è, per dire, uno studio sul nostro calcio a certificarlo. Secondo l’ultimo Report Calcio, stilato ogni anno dalla nostra Figc, le 122 franchigie statunitensi che compongono Nfl, Nba, Mlb e Nhl (dunque football, basket, baseball e hockey) hanno registrato introiti per 19,7 miliardi di euro, contro i 15 miliardi dei 716 club della 54 Leghe calcistiche del Vecchio continente e i 13,2 miliardi dei 122 top club europei per fatturato.
I dati di cui sopra ci riportano al legame tra football Usa e Inghilterra: non è un caso che la Nfl abbia deciso di investire nelle piazze del pallone britannico. Non solo per un crescente interesse del pubblico inglese alla palla ovale, ma perché è nella concezione del calcio della Premier League che esiste la più grande similitudine con la Nfl stessa. Tanto che, con il nuovo contratto dei diritti tv del calcio (7 miliardi di sterline nei prossimi tre anni), la Premier sarà l’unico campionato sportivo che potrà affiancare l’Nfl nel giro d’affari. Per ottenere l’abnorme cifra di ricavi da broadcasting, la Premier ha investito su sé stessa, facendo sistema e facendo del campionato inglese un prodotto esclusivo e ben confezionato: non tutte le gare vengono trasmesse in tv (come accade in Italia, dove i diritti tv sono integrali), aumentando il valore di quelle invece trasmesse. E la cornice è quella formata da stadi funzionali al pallone e in grado di vivere tutto l’anno, concorrendo all’aumento dei ricavi delle singole squadre. Un contesto assai simile – pur con tutte le differenze del caso, a cominciare dal numero maggiore di gare giocate – a quello creato in Nfl. Dove esiste un sistema di ripartizione dei ricavi equilibrato (che la Premier ha imitato parzialmente in quelli tv, che non sono divisi in parti uguali ma in maniera più equa che in Italia) tale per cui ogni società riceve una quota molto simile di introiti commerciali, tv, licensing e merchandising e all’interno del quale ogni franchigia lavora per aumentare da sé i propri ricavi con strategie personalizzate, magari legate agli stadi. Il Super Bowl dello scorso anno, per esempio, si è giocato al Levi’s Stadium di San Francisco: la casa dei 49ers è un vero e proprio gioiello tecnologico che poggia su oltre 70 miglia di cavi per il wi-fi e un migliaio di router, che ne fanno lo stadio con il più alto grado accessibilità al mondo. Una strategia che ti invoglia ad andare allo stadio, visto il tempo che passiamo allo smartphone. Dove per altro possiamo vedere le gare di football, se allo stadio non si va: lo scorso anno, la Nfl ha firmato un contratto da 10 milioni di dollari, per la trasmissione delle gare del Thursday Night in streaming su Twitter.
Per capire come ha fatto la Nfl a strappare un contratto così remunerativo, basta capire un concetto-chiave, lo stesso imitato dalla Premier ma più un grande: fare dello sport un evento unico. Il calendario della Nfl è certo più lungo di quello di un campionato di calcio europeo, ma è la struttura a fare la differenza, con la presenza dei playoff che culminano nel mitico Super Bowl. Ed è nella finale che si concentra la vera differenza. La finalissima, che ogni anno si gioca in una città diversa degli Stati Uniti, è passata dall’essere partita di football a fenomeno di costume, grazie alla presenza di cantanti dal vasto pubblico (lo scorso anno Lady Gaga ha eseguito l’inno nazionale) e alla ormai mitica esibizione dell’half time, lo spettacolo dell’intervallo che ogni anno fa parlare di sé: fu in uno di questi, per intenderci, che nel 2004 Janet Jackson ebbe il famoso incidente del seno scoperto.
(L’half time show di Katy Perry al Super Bowl del 2015 (Christopher Polk/Getty Images)
Lo scorso Super Bowl, per fare un esempio, è stata seguito da 120 milioni di spettatori: un audience capace di far generare introiti fino a 400 milioni di dollari da pubblicità, alimentati da spot che sono arrivati a costare fino a 5 milioni di dollari per 30 secondi di spazio televisivo. Ma le aziende non indietreggiano, perché esserci è fondamentale: dietro ad ogni spot c’è il lavoro di mesi, per arrivare pronti all’appuntamento con pubblicità inedite e studiate ad hoc, in tv ma anche sui social. E se azzecchi il messaggio, è fatta: entri nell’olimpo del marketing per sempre.
Lo scorso Super Bowl, per fare un esempio, è stata seguito da 120 milioni di spettatori: un audience capace di far generare introiti fino a 400 milioni di dollari da pubblicità, alimentati da spot che sono arrivati a costare fino a 5 milioni di dollari per 30 secondi di spazio televisivo. Ma le aziende non indietreggiano, perché esserci è fondamentale: dietro ad ogni spot c’è il lavoro di mesi, per arrivare pronti all’appuntamento con pubblicità inedite e studiate ad hoc, in tv ma anche sui social. E se azzecchi il messaggio, è fatta: entri nell’olimpo del marketing per sempre. Lo sa bene la Oreo, che durante il Super Bowl del 2013 fece il botto con una operazione di real time marketing: durante un black out che colpì la finale, dall’account twitter sbucò l’immagine di un biscotto, con la scritta “puoi ancora masticare al buio”. Boom.
In Europ arriveremo a tali livelli? In attesa di capire come i nuovi ricavi tv impatteranno sulla Premier, il movimento della Nfl non ha intenzione di fermarsi: l’obiettivo di Roger Goodell, commissioner della Nfl, è di arrivare a 25 miliardi di dollari di ricavi totali nel 2027. Per tenere il passo, se si vuole sviluppare una strategia organica di coesione tra le migliori leghe calcistiche d’Europa, la seppur ricca Champions League non può bastare più. E la risposta è una sola: la Superlega Europea.