Una parola impronunciabile per uno stile di vita non ben definibile: hygge. Ormai è di moda, e indica – ma chi ne è sicuro? – uno spirito, uno stato d’animo legato a un ambiente caloroso, accogliente semplice e conviviale. Deriva dalla Danimarica e, insomma, parla di star bene a casa con gli amici. Lo si fa da sempre in tutte le latitudini del mondo (almeno in quelle in cui si sono costruite delle case), per cui sorprende che i danesi lo debbano insegnare anche agli altri. Ma tant’è.
Del resto c’è chi non accetta lezioni dai nordici, e sono i tedeschi. Il vostro (la vostra?) hygge non è nulla, dicono, in confronto con la nostra Gemütlichkeit. Cioè lo star bene, ma declinato alla berlinese.
Anche qui, una traduzione semplice non è data. La Gemütlichkeit descrive uno stato d’animo pacificato, un’impressione di benessere dovuta a un ambiente caloroso e, soprattutto, contento di ciò che è, di come la realtà si presenta. Distensione, semplicità, pochi pensieri. Una vita zen: facile, verrebbe da pensare, quando la crisi economica non ti lambisce da decenni.
Nonostante i due concetti appaiono comunque misteriosi, si intravede – forse – una differenza decisiva tra hygge e Gemütlichkeit. La prima, come si diceva sopra, prevede un tipo benessere indoor. Dentro casa, nel tinello, nella cucina con gli amici. La seconda, invece, è esportabile anche all’esterno, cioè nei bei bar della capitale tedesca. In particolare, si suppone, nei quartieri di Kreuzberg e di Neukölln, tra una birrettina e un wi-fi.