Matteo Renzi, rottamazione compiuta. Ora il Pd è davvero la nuova Democrazia Cristiana

Nella stagione del bipolarismo crollato Renzi immagina un Pd sempre più legato al potere, e sempre meno alle ideologie. La scissione (se ci sarà) sarà per lui un modo per mettere alla porta gli avversari interni

Matteo Renzi in conclusione del suo intervento cita Conrad e il suo romanzo più famoso, La linea d’ombra, e all’improvviso è chiara ogni cosa: è la storia di un giovane che salta ogni gavetta e assume il comando di una nave; di una nave che forse è maledetta; di un equipaggio raccogliticcio che si ammala in massa; di medicine che mancano; delle vele flosce per un’infinita bonaccia e del panico che crocifigge l’inesperto capitano.
Poi arriva il vento, e fortunosamente si riesce ad approdare in porto. I marinai vengono scaricati in ospedale. E il protagonista riparte con un equipaggio tutto nuovo, finalmente adulto e libero dai malmostosi, dai malaticci, dai superstiziosi, dai pavidi, su una nave di cui si sente perfettamente padrone dopo tante incertezze. E’ la metafora perfetta dello stato d’animo che guida in questa fase il segretario del Pd: la scissione prossima ventura vissuta come una liberazione, la fine di una convivenza da incubo, e in prospettiva l’elemento di una possibile ripartenza senza zavorra.

La conduzione dell’Assemblea di ieri non ha lasciato alcuno spazio a sentimenti diversi, almeno da parte della dirigenza di osservanza renziana. Si è aperta con l’indizione del congresso. Si è chiusa senza replica e con lo scioglimento della medesima Assemblea, al punto di lasciare interdetti gli stessi partecipanti, presi in contropiede dall’«Ite, missa est» di Matteo Orfini.
L’infinita serie di “fermiamoci” pronunciata nel mezzo – talvolta sinceri, spesso di maniera – è servita soltanto a incartare una decisione già presa e non modificabile. Abbiamo da oggi un nuovo Pd, che si scrolla dalle spalle la parte più significativa della vecchia filiera di Botteghe Oscure e completa con lucida determinazione l’opera di rottamazione avviata tre anni fa da Renzi. Chi resta dovrà accettare un ruolo da comprimario e rassegnarsi al Congresso prima delle amministrative con la conferma del giovane capitano; chi se ne va, peggio per lui.

La scissione prossima ventura è vissuta da Matteo Renzi come una liberazione, la fine di una convivenza da incubo, e in prospettiva l’elemento di una possibile ripartenza senza zavorra

La rupture cercata dal segretario ha un suo senso politico. Il bipolarismo è franato. La stagione del maggioritario conclusa. E nello scenario del proporzionale che sta per aprirsi, serve un partito-baricentro nel solco della vecchia Democrazia Cristiana, in grado di attrarre forze e cercare alleanze a tutto campo, senza il costante mugugno di chi non ha superato ancoraggi ideologici novecenteschi, interclassista e spregiudicato.
Un partito delle correnti, dei dorotei, dei morotei, dei basisti, dei pontieri, degli andreottiani, capace di tenere insieme “sindaci santi” come Giorgio La Pira e pittoreschi maghi del voto come Vittorio Sbardella detto Lo Squalo. In questo contesto, il congresso del Pd che il segretario immagina è una conta delle componenti per valutarne il futuro ruolo più che una discussione sulla leadership, esattamente come furono – salvo rare eccezioni – gli antichi congressi Dc.

Renzi rivendica il copyright della sinistra, certo. «Sono di sinistra – dice – anche se non canto bandiera rossa e se non faccio la rivoluzione socialista». Ma si capisce che è schermaglia polemica, contesa di territorio, replica al trio del Teatro Vittoria e al loro esibito omaggio alle radici. Quel che promette al partito è un altro tipo di domani che cantano: il ritorno al potere e al governo con pienezza di legittimazione, perchè il vero tratto identitario che lo differenzia dalla minoranza interna è tutto lì. Per Renzi è il potere il vero nocciolo della politica, e perseguirlo con tutti i mezzi non è cosa né da nascondere né di cui vergognarsi, ma il valore aggiunto di una leadership moderna.

Per Renzi è il potere il vero nocciolo della politica, e perseguirlo con tutti i mezzi non è cosa né da nascondere né di cui vergognarsi, ma il valore aggiunto di una leadership moderna

Dare giudizi di valore o morali sulla scelta dell’ex-premier non avrebbe senso. Al momento, il vincitore è lui.
Avrà primarie solitarie, o al massimo con un contendente di comodo. Andrà verso un congresso plebiscitario sul suo nome. Sarà lui a guidare il dibattito sulla riforma elettorale.
Se le amministrative andranno male, potrà dire che la colpa è degli scissionisti, di chi ha ingrippato il motore del Pd, esattamente come all’inizio della sua cavalcata incolpò i “gufi” e i “professoroni” di ogni contrattempo. Poi, certo, il romanzo di Conrad non ci dice come va a finire la storia del giovane capitano e del suo nuovo equipaggio. Magari navigò con grande fortuna per molti anni, magari colò a picco proprio quando pensava di essere ripartito vento in poppa. Staremo a vedere.

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