Namasté, Sanremo, namasté

Un'ironica supercazzola batte la signora della canzone italiana, Amici miei batte Amici. Alla fine, non è andata così male, al Festival

E a furia di dire che avrebbe vinto la Mannoia, alla fine Nostra Signora della Canzone d’Autore ha perso. Non proprio benissimo, poi, perché ha perso contro la canzone dello scimpanzé, quella il cui autore cita Demond Morris, ma che un pochino mette in scena la supercazzola di Amici miei. Insomma, doveva vincere l’inno alla vita in chiave namasté della Mannoia, invece ha vinto la canzone in cui Francesco Gabbani, vero outsider alla vigilia, prende per il culo chi abusa del namasté. E dire che, pur di non sfilare la statuetta con palma e leone dalle mani dell’interprete de L’aiuola, qui in riviera le avevano proprio giocate tutte: dall’invitare sul palco dell’Ariston la sera della finale la autrice del brano Amara, turbantata ex concorrente di Amici giunta come superospite contro ogni legge della fisica in compagnia del povero Paolo Vallesi, inizialmente destinatario di Che sia benedetta, al mandare anzitempo a casa un concorrente diretto come Gigi D’Alessio, silurato dalla giuria di qualità composta da giganti della nostra cultura come Greta Menchi o Violante Placido (quantomeno giunta all’Ariston per sovvertire la perniciosa tendenza 2017 del Festival: niente figa).

Al fil di lana Amici perde su Amici miei, mettiamola così. A vedere la faccia della Mannoia che trasuda incredulità per questo anomalo risultato verrebbe da correre in strada come dopo la finale di Berlino con la Francia, e in effetti il vostro affezionatissimo questo ha fatto, ma in realtà l’impressione è che la Mannoia sia stato solo un diversivo, e che la vera vittoria annunciata sia davvero arrivata. A portare a casa il Festival, infatti, è stata la De Filippi che non solo ha bullizzato per tutte le serate il povero, metaforicamente, Carlo Conti, rallentando il ritmo del programma, cepostaperteizzandolo, gettando secchiate di anaffettività mascherata da sentimentalismo su ogni passaggio chiave. Ma ha anche piazzato il suo Lele nei Big della prossima edizione, dopo la vittoria tre i giovani, e con l’eliminazione di Ron, Al Bano e Gigi D’Alessio, e la sconfitta di Fiorella vs Gabbani, ha sostanzialmente messo in atto l’unica vera rottamazione che si sia vista in Italia negli ultimi anni. Come dire, l’anno prossimo al Festival solo fuoriusciti dai talent, i Big faranno un gruppo d’ascolto a casa di Vallesi, tutti a guardare l’anticipo del campionato.

Al fil di lana Amici perde su Amici miei, mettiamola così. A vedere la faccia della Mannoia che trasuda incredulità per questo anomalo risultato verrebbe da correre in strada come dopo la finale di Berlino con la Francia

Visto che però Sanremo è anche, poco, un Festival che ha a che fare con la musica, diciamo apertamente che qualche bella canzone l’abbiamo sentita, a partire proprio da Vietato morire di Ermal Meta, entrato ufficialmente tra i grandi della nostra scena cantautorale, finalmente, passando per il coraggioso brano electropop di Marco Masini, per la ballata empatica presentata da Fabrizio Moro. Poi ci sono i due brani che più hanno convinto chi scrive, che poi sarei io. Due brani diversissimi tra loro, La prima stella di Gigi D’Alessio, brano molto raffinato nella composizione, quello armonicamente e melodicamente più complesso e che più di ogni altro ha tenuta impegnata l’orchestra, perché per l’orchestra composto, e Fatti bella per me di Paola Turci. Ecco, già solo vedere Paola Turci mangiarci il palco serata dopo serata, serena, fiera e bella come non mai, potrebbe giustificare l’aver dovuto sopportare le canzoni inutili come quelle dei vari Alessio Bernabei, Elodie, Michele Bravi, Chiara Galiazzo e affini, canzoni di artisti bravi tecnicamente, almeno nel caso di Elodie e Chiara, ma del tutto incapaci di trasmettere alcunché. Ecco, si vadano a vedere come Paola Turci, quinta classificata alla fine, ha tenuto il palco, per capire la differenza tra il karaoke e l’essere un’artista. Insomma, un rebirthing, quello messo in atto dalla cantautrice romana, che non può che rallegrarci.

Diciamo apertamente che ​qualche bella canzone l’abbiamo sentita: quelle di Ermal Meta, Marco Masini, Fabrizio Moro. E soprattutto di Gigi D’Alessio e Paola Turci

Coscienti che stiamo parlando solo di canzonette, e appropinquandoci alla fine di questo consuntivo, va registrato anche la morte ufficiale della Sala Stampa del Festival, tra balletti sul brano di Gabbani e cori da stadio per l’eliminazione di Nesli e Alice Paba, credo, si è toccato il punto più basso per la categoria. Fortunatamente chi scrive era altrove, a mettersi la preparazione H sotto gli occhi per far rientrare le occhiaie.

Come si dice in questi casi, adesso saranno radio e internet a determinare quali canzoni spariranno e quali resteranno. Noi qui si chiude la valigia e si scappa verso casa, per la prima volta felici di lasciarsi il mare alle spalle e di correre verso Milano e le sue polveri sottili.

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