Salvate l’orchestra di Sanremo dalla musica di merda

Poche menzioni d’onore, una scenografia che li mortifica e ventidue canzoni la maggior parte delle quali orribili che solo il loro sforzo rende (a volte) accettabili. In più, quest’anno, pure la presenza-assenza di Vessicchio

Sanremo, giorno cinque. Credo. Dormire due ore a notte e lavorare le rimanenti non aiuta, scusatemi.
Comunque, archiviata anche la serata delle cover, riprova che, confrontate coi classici, le canzoni presentate in gara, in buona parte, sono davvero brutte.

Arrivano i primi premi, e i primi verdetti.
Parlando di cover vince il primo premio Ermal Meta, che si sta mangiando con gusto questo Festival, vince con una versione intensa e melodrammatica di Amara terra mia di Modugno. Seconda una splendida Paola Turci con Un’emozione da poco, e anche la Turci sta facendo un Sanremo da vera protagonista, e terzo Masini che ha il merito di omaggiare Faletti e la mai coverizzata Minchia signor tenente. A mio avviso, al pari del brano della Turci meritava la vetta Gigi D’Alessio con una virtuosistica versione de L’immensità fatta in 5/4, con tanto di assolo di piano da vero maestro. Ma Gigi D’Alessio suonava ai matrimoni, non è cosa vincere premi per lui.

Per il resto tante altre belle canzoni, spesso maltrattate da interpreti maldestri. È lo spettacolo, baby.
E lo spettacolo prevede che ci siano anche le prime eliminazioni, con un meccanismo che anche un fisico faticherebbe a capire.
Era già tutto previsto. No, nessuno ha portato la cover del noto brano di Riccardo Cocciante, tranquilli. Era già tutto previsto come sarebbe finita con le eliminazioni. Almeno in Sala Stampa. Perché, ma ne parleremo più diffusamente nel consuntivo che faremo a fine kermesse, credo per la prima volta nella storia del Festival della Canzone Italiana c’è stata una parte dei giornalisti, quelli di cui si parlava un paio di giorni fa, quelli in pullover e col cappello da Tom Waits, ma anche i pensionati d’oro che non mollano la poltrona neanche sotto minaccia della vita, che hanno deciso di silurare Nesli e Alice Paba non solo e non tanto per la loro canzone o per la loro performance, ma per chi ha deciso di perorare la loro causa. È capitato quindi di sentire cori da stadio verso i due e il loro produttore Brando, e i social riportano post e tweet a riprova che di operazione in stile shit storming si è trattata. Del resto chi l’ha mossa non è certo qui per la musica, argomento che maneggia a propria insaputa, cosa ci si doveva mai aspettare. Con Nesli e Alice se ne sono andati anche i loro diretti concorrenti Raige e Giulia Luzi, Big a loro e nostra insaputa. Una perdita che non lascia un vuoto.

Provateci voi a seguire i direttori d’orchestra da un balconcino al terzo piano, per di più al buio o quasi. E soprattutto, provateci voi a farlo con serietà quando avete scritta sullo spartito la partitura di un brano di Alessio Bernabei o di Michele Bravi

Ma questo lo sapete già, perché Sanremo è Sanremo e immagino ve lo stiate godendo davanti alla tv.
Chi non se lo gode poi molto è l’orchestra, per dire, che da circa due mesi si trova a ripetere ossessivamente 22 canzoni in buona parte di merda, lassù, arroccati in una scenografia molto scenografica, mi si passi il gioco di parole, con tre file di balconate laterali dove i musicisti sono stati posizionati, ma decisamente poco comoda per chi deve suonare. Provateci voi a seguire i direttori d’orchestra da un balconcino al terzo piano, per di più al buio o quasi. E soprattutto, provateci voi a farlo con serietà quando avete scritta sullo spartito la partitura di un brano di Alessio Bernabei o di Michele Bravi. Una vera vita di merda, la loro. Con ritmi da catena di montaggio, poche menzioni d’onore e lì, dietro l’angolo, un passato e un futuro di nuove musiche di merda da suonare e da eseguire sempre con perizia e professionalità.

Discorso a parte meriterebbero i direttori d’orchestra, altra categoria piuttosto bistrattata. Perché se è vero che si sta tanto parlando del l’assenza di Peppe Vessicchio, in realtà in zona a parlare del suo libro in tutti i luoghi e in tutti i laghi, è pur vero che di loro non si dice mai niente. Anche se, in molti casi, è loro l’estremo tentativo di rendere sanremese una canzone che da Sanremo passa solo per promozione. Nel senso, non so come la vedete voi, ma il direttore d’orchestra non è solo colui che sale sul palco bacchetta alla mano e si agita per qualche minuto a beneficio di telecamera, ma anche colui che partecipa all’orchestrazione del brano presentato, allargando un arrangiamento fatto in alcun casi col Pc da un nerd a qualcosa che possa essere credibile con sessanta elementi a disposizione. Poi, chiaro, come la presenza di Mauro Pagani al fianco di Chiara ieri per la cover di Diamante di Zucchero ha dimostrato, i miracoli non lì può fare neanche chi ha lavorato a Creuza de ma, e questo è un dato di fatto, ma almeno provare ci provano sempre.

Nota di servizio, a Sanremo continua a esserci un tempo orribile, in barba a chi sostiene che in riviera c’è un clima moderato. Io ho dovuto fare un buco nuovo alla cintura, perché si corre tanto e si mangia poco, e nel rimandarvi al diario di bordo di domani, vi ricordo sempre che Sanremo è Sanremo e che c’è qualcuno che mi ha detto di salutarvi tanto.

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