Sviluppo e povertà, ecco le scarpe che crescono da sole

Nei Paesi del Terzo Mondo è difficile per i bambini avere calzature comode in grado di adattarsi alla crescita dei loro piedi. La soluzione? Un modello che si può modificare, nel tempo, e che resiste a lungo

A prima vista sembra una grande ciabatta. La si può modificare in tre sezioni: in punta, ai lati e dietro al tallone, allungandola e ingrandendola a seconda delle necessità. È fatta in materiali resistenti (una gomma iprecompressa, simile a quella di un pneumatico), facile da pulire, facile da usare, resitente per anni. È la scarpa-che-cresce, inventata da Kenton Lee, per rimediare a un problema molto importante e molto sottvalutato: le calzature dei bambini nei Paesi del Terzo Mondo.

L’idea, racconta nel suo sito TheShoesThatGrow, nasce nel 2009 durante un periodo di lavoro in Kenya. Vedeva dappertutto scarpe rotte, piedi rovinati dal suolo, nudi e senza protezione. Perché, si è domandato, non creare un modello di calzature in grado di crescere insieme ai piedi dei bambini? Un rimedio a basso costo, che non obbliga i bambini (come fanno i loro coetanei del primo mondo) a comprare scarpe sempre più grandi a seconda dello sviluppo del piede.

Dopo anni di tentativi e prototipi, è arrivata la versione finale, che si può vedere in questo video promozionale:

 https://player.vimeo.com/video/107434916?autoplay=0 

«La nostra è un’azienda non profit. Il nostro obiettivo è di fornire queste scarpe ai bambini in difficoltà». Chi lo desidera, può fare donazioni: ogni paio costa 15 dollari, e arrivare a riempire una valigia, con 50 paia. Se si vuole, si può anche agire di persona, acquistando una valigia di scarpe, facendosela recapitare e poi recandosi sul posto. È un’iniziativa benefica, insomma, che mira a coinvolgere più persone possibili e sensibilizzare su un problema sottovalutato ma importante.

Del resto, lo diceva anche Primo Levi: “Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l’inverso. – Ma la guerra è finita, – obiettai: e la pensavo finita, come molti in quei mesi di tregua, in un senso molto più universale di quanto si osi pensare oggi. – Guerra è sempre, – rispose memorabilmente Mordo Nahum”.

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