Quando ero piccolo, ma piccolo davvero, c’erano poche cose capace di farmi paura come certi film o telefilm. Da Belfagor a certi sceneggiati come i Beati Paoli, lì in bianco e nero dentro la televisione, la musica evocativa in grado di farti venire la pelle d’oca. Non avevo bisogno di grande immaginazione, per crearmi fantasmi capaci di animare i miei sonni, li vedevo già belli confezionati e lasciavo che devastassero il mio subconscio.
Poi c’erano tutti quei film che non potevo vedere, perché ero troppo piccolo, ma che i miei fratelli maggiori, amorevoli, mi raccontavano, lasciando che a terrorizzarmi non fossero solo le immagini scelte con cura dai registi, ma proprio quel subconscio messo a dura prova da Belfagor e compagnia bella.
Tra questi c’erano, ovviamente, i film di Dario Argento, cintura nera di paura dell’epoca, e un film tratto da un romanzo di Michael Crichton che, una volta vistolo, da grande, in realtà di paura non ne faceva affatto. Si tratta di Coma profondo, con un giovane Michael Douglas. A me spaventava molto l’idea di poter finire in coma e di non uscirne, forse perché un catechista non troppo sveglio mi aveva raccontato che il mio fratello gemello morto durante il parto se ne stava nel Limbo e avevo paura di finirci in qualche modo anche io.
Questa è la settimana della premorte, di quel momento in cui la vita si sospende, l’anima sta lì a guardarci immobili dall’alto, e nulla succede. il Festival della Canzone italiana di Sanremo è alle porte e, come fossimo sotto Ferragosto, tutto sembra essersi fermato
Ecco, tutto questo per dire che questa è la settimana del coma profondo. Senza però il beneficio della mia paura infantile. Questa è la settimana della premorte, di quel momento in cui la vita si sospende, l’anima sta lì a guardarci immobili dall’alto, e nulla succede, per ore e ore, giorni e giorni. Tutto questo non per un qualche commercio d’organi, come nel film di cui sopra, ma perché il Festival della Canzone italiana di Sanremo è alle porte e, come fossimo sotto Ferragosto, tutto sembra essersi fermato. Il che, a pensarci bene, è una vera follia. Perché proprio per quella strana forma di attesa autoalimentatasi che vuole tutta la discografia in standby fino all’inizio della kermesse festivaliera, questo dovrebbe essere un ottimo periodo per uscire, far casino, farsi notare, con la certezza e l’evidenza che mai come oggi, con tutto questo silenzio, anche un rutto diventerebbe un tuono.
Invece niente, c’è stato chi ha buttato un paio di raudi, con l’uscita di Baustelle e Brunori Sas che si sono sovraesposte e quella di Fedez e J Ax che avremmo anche volentieri evitato, e poi niente. Silenzio. Premorte. Coma profondo. Tutti pronti per il Festival, di cui poi si dirà, almeno discograficamente, non succede mai niente. Nessun album venduto, qualche singolo che dura un paio di settimane, e poi le uscite vere, quelle serie. Però, intanto, da metà gennaio a fine febbraio una lunga vacanza, con tutti i discografici, gli uffici stampa, i giornalisti musicali e i critici, le radio, le televisioni, tutti a Sanremo, spesso a non fare nulla, a raccontarsela, a dire che quest’anno sarà diverso, che magari qualcosa funzionerà. E ci sarà chi farà il solito giochetto scemo, a cui però, come sempre, nessuno su due piedi saprà rispondere, quello che pretende di sapere chi ha vinto l’ultimo Festival, e quello prima ancora.
Anche se, a volerla dire tutta, le mani poste lì potrebbero essere anche utili, come protezione per quel che la settimana del Festival ci riverserà addosso. Le canzoni innazitutto. Roba che, a pensarci meglio, fa quasi rivalutare la prosettiva del coma profondo. Silenzio, riposo, al massimo un rene o un polmone asportato per il mercato degli organi, ma le palle lì, intatte al loro posto
C’è chi proverà a stilare una ipotetica classifica finale, spesso non beccandoci, anche se è chiaro che Fiorella Mannoia sarà nel podio, come è abbastanza chiaro che ci sarà Sergio Sylvestre e il coro di bambini gospel. Ma niente di rilevante. Niente, perché quando si è in coma neanche i muscoli si muovono, se non impercettibilmente, spesso aiutati dalle macchine. Il top di questo coma profondo sarà poi lunedì 6, quando il Festival sarà veramente in procinto di, ma ancora non sarà partito.
Perché lì tutti saranno davvero a Sanremo, e ci sarà chi proverà a attirare l’attenzione su qualcosa che con il Festival, si suppone, non c’entra nulla. L’anno scorso c’era Sollecito, da poco assolto per l’omicidio di Meredith, che pubblicizzava una sua azienda attiva nel campo dei funerali, quest’anno, voglia Dio, qualcosa di un po’ meno cupo. Roba da poter leggere senza dover necessariamente far ricorso alle mani sui coglioni.
Anche se, a volerla dire tutta, le mani poste lì potrebbero essere anche utili, come protezione per quel che la settimana del Festival ci riverserà addosso. Le canzoni, innanzitutto, ma anche lo spettacolo televisivo, i rumors, i frizzi e i lazzi, i nani e i ballerini. Roba che, a pensarci meglio, fa quasi rivalutare la prosettiva del coma profondo. Silenzio, riposo, al massimo un rene o un polmone asportato per il mercato degli organi, ma le palle lì, intatte al loro posto.