Visto che le polemiche non risparmiano mai nulla, anche una storia come quella della Bella e la Bestia è finita nel centro delle discussioni. Il motivo? Nel rifacimento (con attori in carne e ossa) del cartone animato di Walt Disney del 1991, il personaggio di Le Tont, aiutante e amico di Gaston, il belloccio cattivo, diventa gay. Ossignore.
In Russia hanno già deciso di boicottare le proiezioni, mentre i giornali liberal di mezzo mondo sono in trionfo. Addirittura, sostengono, la variazione non sarebbe nemmeno una variazione, perché “si capiva già” che Le Tont fosse gay. Una tesi bislacca, visto che non esistendo davvero, è difficile che il personaggio abbia sviluppato una coscienza sessuale precisa.
In ogni caso, la discussione dimentica – come sempre in questi casi – un aspetto fondamentale di tutta la questione: il racconto originale della Bella e la Bestia era molto diverso. E la Walt Disney, come sempre, ha già operato una serie di variazioni molto più pesanti del banale orientamento sessuale di un personaggio minore.
Come alcuni sapranno, La Bella e la Bestia era, in origine, un romanzo francese pubblicato nel 1740 e scritto da una donna: Madame Gabrielle Suzanne de Villeneuve. Era una favola che – udite udite – parlava di diritti delle donne già nel XVIII secolo e, soprattutto, era molto più scura.
Prima di tutto, Belle non era una paesanotta figlia di un inventore strampalato (come vuole la Disney), bensì la figlia di un Re e di una fata. La storia prosegue con il racconto del rapimento e del sequestro nel castello tenebroso della Bestia. Lì la donna si trova isolata e deve adeguarsi alle volontà del suo carceriere fino a quando, per una sorta di sindrome di Stoccolma, non si innamora del suo rapitore. Bello, eh? Romantico, eh? Tutt’altro.
La storia originale è una critica e, al tempo stesso, una sorta di satira: Belle, come le donne nobili dell’epoca, non aveva molta possibilità di scelta sul suo sposo. Decidevano gli uomini, le famiglie, sulla base di esigenze molto lontane dai sentimenti. E le fanciulle si adeguavano, accettando il loro destino e, alla fine, innamorandosene.
Per cui alla radice non si tratta di una storia di estetica (come ha voluto la Disney) e/o di bellezza interiore/esteriore, ma di una critica sociale, anche notevole per i tempi. Sembra di capire allora che, tutto sommato, per la Disney sarebbe stato molto più rivoluzionario restare fedeli alle radici, sgonfiando l’allure romantica/sdolcinata/kitsch che tanto piace alle generazioni. Niente principi, più contestazioni. Sarebbe stato bello, certo. Ma è molto più facile sembrare moderni inserendo a caso un personaggio gay.