Basic Instinct ha 25 anni, ma la sua scena più famosa fa ancora discutere

È quella in cui Sharon Stone accavalla le gambe, mandando in confusione i poliziotti che la interrogano. Pochi fotogrammi allusivi che hanno segnato un’epoca

Sono passati 25 anni, ma ancora se ne discute. Di cosa? Ma delle gambe accavallate di Sharon Stone in Basic Instinct. Una scena iconica che ha segnato un’epoca, fatto la fortuna di un’attrice (che all’epoca aveva 34 anni) e ipnotizzato tanti adolescenti (ma non solo) davanti allo schermo, alle prese con i rudimentali riavvolgi-riavvia dei videoregistratori vhs. Altri tempi, lontani. Ma ancora se ne parla, ancora non ce ne si dà pace.

Al centro delle polemiche è il mistero dietro alla scena: fu concordata con l’attrice o le venne imposta con l’inganno? Pochi anni fa Sharon Stone dichiarò di “essere stata truffata dal regista”, l’olandese Paul Verhoeven. Secondo lei “la scena, per come le era stata spiegata, doveva essere soltanto allusiva”. In ogni caso Verhoeven le chiese di levarsi le mutandine, “era importante che non si vedessero”. Ma le assicurò, sostiene lei, “che non si sarebbe visto nulla di nulla”.

Fu soddisfatta della scena anche quando la rivide sul monitor della post-produzione. Non si vedeva nulla – ma all’epoca non esisteva l’alta risoluzione. Per questo rimase scioccata quando, mesi dopo, la rivide al cinema. “Fu un trauma. Mi alzai e schiaffeggiai il regista”. La scena, riconosce, era bene inserita nella trama e, fosse stata lei la regista, non l’avrebbe mai cancellata. “Però potevano dirmelo, anche solo per cortesia”.

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Paul Verhoeven però respinge le accuse. Le cose andarono in modo molto diverso. “Sharon sapeva benissimo come sarebbe stata girata la scena. Accettò con entusiasmo, affascinata dalla perversità del personaggio”, dichiara in un’intervista a Icon. “Ogni attrice sa cosa si vede, quando ti si chiede di togliere la biancheria e ti si punta una telecamera in quella direzione”. Addirittura, aggiunge “mi regalò le sue mutandine”. Forse ipotizza, “la tranquillizzava l’atteggiamento rilassato che avevamo io e il montatore. Entrambi olandesi, lavoravamo con naturalezza di fronte al nudo”. Quando però vide il film “circondata da americani, cambiò opinione. Tutti le dicevano, compreso il suo agente, che la scena avrebbe rovinato la sua carriera. Lei si spaventò e venne da me a chiedere di tagliarla. Io mi rifiutai. E mi mandò a quel paese”.

Dove sarà la verità? Uno dei due mente: o l’attrice o il regista. O magari tutti e due. Ma, a prescindere dal film, se è vero quanto dice Verhoeven, la vera lezione da imparare da questa storia è che non bisogna mai dare retta agli agenti. Solo ai registi. O variando, che non bisogna mai dare retta agli americani, ma solo agli olandesi. E forse, visti i recenti sviluppi elettorali, è proprio vero.

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